“Davide, Francy, Vichy vi vogliamo bene“. Si leggeva anche questo su uno striscione comparso in via delle Terme, dove Davide Astori viveva con la compagna Francesca e la piccola Vittoria, la bimba che aveva reso quella coppia un disegno perfetto. Quel “vi vogliamo bene” era un pensiero, semplice e commovente, che gli amici e gli abitanti nella strada del centro storico di Firenze avevano voluto dedicare al loro ragazzo.
Questo, insieme ad innumerevoli altri gesti d’affetto e di vicinanza, hanno lasciato il segno. Perchè a poche settimane dalla morte di Davide si apprende che Francesca ha deciso di restare a Firenze. Nella scelta ha pesato l’affetto di familiari e parenti: “Ci sono tante persone pronte a farle da scudo” scrive il quotidiano fiorentino “La Nazione”.
Ed è vero. La vicinanza e l’affetto di tutti, certo, si toccano con mano. Ma nella scelta della compagna di Astori sembra ci sia altro. Perchè la giovane donna avrebbe scelto di restare in città insieme alla figlia di soli due anni, proprio nella casa che il suo giovane uomo, morto nel sonno a soli 31 anni -a mava tanto.
E’ un segno, sofferto, di continuità con il passato, un volersi confrontare con una presenza che si vuole resti tale, accanto a lei e alla figlia, a dispetto di quella morte che li ha divisi. Dev’essere straziante restare nella casa di un affetto perduto, e con cui si è condivisa la quotidianità e la visione del futuro, se non si custodisce un amore così forte da suscitare una presenza, se non si ha una devozione tale da superare il sommesso strazio che accompagna ogni momento. E’ una scelta forse insolita, quella di Francesca, ma che sembra parlare il linguaggio silenzioso di questi giorni, sembra mostrare lo stesso contegno tenuto subito dopo la tragedia ed oltre. Distante e riflessiva, silenziosa, attenta all’avvenire della figlia. Sembra che tutto ora converga nel battito di un cuore, il suo, che richiama e custodisce il battito di un altro cuore, quello di Davide, che le logiche dell’amore sanno non essere perduto ma presente e vivo, accanto a lei.
Si intuisce questo, nella scelta di restare. E’ stato come dire all’amore: “Non andartene, io sono qui“. Un gesto che nulla chiede in cambio, una scelta, la sua, che trae motivo di pace dal solo essersi compiuta.
Francesca sembra una donna che decide da sola e si comprende da sola. Perchè sa di non essere sola. Dopotutto siamo nati per essere messi alla prova, e la prova vera è quando qualcosa si spezza e noi riannodiamo i fili, instancabilmente, senza dire una parola. Ed ecco che quelle finestre in via delle Terme a Firenze restano aperte. Francesca non chiude la porta dietro di sè per andare altrove. Perchè la morte può ferire un giorno, giocando sporco e all’improvviso ma il male, quello vero, lo fa dopo se il dolore che ha provocato diventa la nostra ombra.
Alla morte bisogna dire di andarse, e alla svelta. Perchè una bambina deve crescere vivendo nella casa amata da suo padre, muovendo i passi nelle stanze dove ha camminato lui, che sognava di vederla crescere e ancora la sogna e forse la vede, chissà, meglio e più dolcemente di noi. Perchè la vita non si sceglie, accade. Perchè il rimpianto è l’abito che si indossa il tempo di un mattino, se il presente ti chiama alla vita. Perchè nonostante gli addii non voluti, i compleanni diversi dagl altri, le ricorrenze che ci inseguono alla fine deve vincere l’amore. Bisogna provarci, almeno.
Ecco perchè una giovane donna ora pronuncia una frase semplice e difficilissima: “Questa è la nostra casa, noi viviamo qui“.