Vajont: quella del Gleno è una strage caduta nel dimenticatoio che fu un vero disastro. I danni, ancora oggi, restano incerti.
Il disastro del Gleno rappresenta la storia vera dell’altro Vajont
Una tragedia che avvenne 40 anni prima di quella del Vajont anticipandola
Erano le 7 di mattina lungo la diga del Gleno (Val di Scalve, Provincia di Bergamo), il 1 dicembre 1923. Il guardiano della diga, Francesco Morzenti, di 35 anni, aveva segnalato delle crepe nella diga. Gli ingegneri lo avevano rassicurato. Da poco rientrato nella sua baracca dopo alcuni lavori di manutenzione, il guardiano vide la diga sgretolarsi sotto i suoi occhi. A seguito di una scossa, alcuni massi caddero. Poi una crepa segnò i piloni della diga. Egli cercò di dare l’allarme, senza successo. Come si legge su Fanpage, Morzenti nella sua testimonianza ai Carabinieri, disse:
“Quando avevo fatto appena venti passi una spinta terribile di vento mi spostò alla destra della valle stessa. Voltandomi indietro osservai, con grande spavento, che il terzo pilone della spalla destra della diga si era completamente squarciato e dalla spalla usciva una enorme massa d’acqua”.
Una catastrofe dimenticata
Fu l’inizio di una catastrofe che fece da apripista per quella che seguì quarant’anni dopo nel Vajont. L’acqua che la diga arginava (cinque/sei milioni di metri cubi) precipitò dal Gleno, a quota 1500 metri di altitudine, fino al lago d’Iseo. Bastarono 40 minuti per far sì che le acque percorressero 28 chilometri. Interi paesi e centrali idroelettriche furono spazzate via. Il bilancio dei morti fu di 356. I danni economici, non ancora quantificati, furono di centinaia di milioni di lire. I soccorritori riferirono di scene apocalittiche.