In Abruzzo è stato scoperto un pino nero di 900 anni, che è sopravvissuto perché era nascosto all’interno di un burrone
In Abruzzo nella Majella è stato scoperto un pino nero di 900 anni, salato dalle scuri dei boscaioli perché è nascosto in burrone di difficile accesso. Per poterlo raggiungere si è dovuti ricorrere a tecniche alpinistiche.
L’albero era quasi una leggenda, a cui è stato dedicato un verso. Dall’antichità era al centro di culti pagani, storie sacre, leggende, odi e sonetti di cultura popolare, uno dei quali recitava
“Laggiù, in fondo a quel burrone, abbarbicato alla parete strapiombante, c’è un pino antichissimo, ha gli anni di Celestino V.”
quest’albero esisteva quando Dante scriveva del papa noto come
“colui che fece per viltade il gran rifiuto”
La riscoperta di quest’albero sacro
Fonte ed oggetto di culti pagani, riti di fertilità e antiche ballate, era considerato una leggenda da secoli. L’ente Parco ha deciso di verificare l’esistenza o meno di questo tronco, per questo ha mandato i suoi esperti botanici e agronomi alla sua ricerca. Una volta raggiunto il burrone che digrada dalla Cima della Stretta, nel fondo della Val Serviera, i ricercatori hanno capito che il solo modo era usare le tecniche d’alpinismo.
Servendosi quindi di corde, chiodi, imbragature ed esperti di soccorso alpino, sono scesi nel burrone che sovrasta la conca di Fara di San Martino.
Una volta scesi, hanno potuto trovare a metà della falesia una piccola perla cioè un micro bosco che è composto da sei esemplari di pino nero cresciuti completamente sospesi nel fondo della valle, trattenuti alle rocce con le forti e nodose radici. avvinte al terreno come tentacoli. Non si tratta di piccoli alberi, basti pensare che 3 dei quali superavano il metro di diametro del tronco. Quello più grande ha un tronco enorme, che ha un diametro di 3,91 metri. P
er capire quanti anni, si è fatto una sorta di carotaggio e secondo l’analisi dendrocronologica ha 900 anni. A svolgere l’analisi è stata eseguita dai laboratori della Facoltà di Scienze Forestali dell’Università della Tuscia.
Gli alberi più piccoli, potrebbero essere figli di quello più grande e si sono salvati grazie alla loro posizione, inaccessibile anche ai boscaioli più temerari che erano soliti usare corde per tagliare questi preziosi alberi.
I pini neri sono rimasti salvi e nascosti ai boscaioli di Fara, che hanno razziato questi alberi per poter recuperare il prezioso legno e la resina usati per esempio nella fabbrica di navi e la produzione di fiaccole chiamate Tede.