ISTAT: PIL 2019 in frenata rispetto al +0,8% del 2018
I dati preliminari dell’Istituto di Statistica (ISTAT) sono inferiori alle attese.
Per l’anno 2019 il PIL è in crescita dello +0,2%: si tratta del calo trimestrale più forte dall’inizio del 2013.
Secondo i dati diffusi oggi dall’ISTAT, il PIL nel quarto trimestre 2019 è calato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente restando invariato su base annua.
L’economia italiana è rallentata più del previsto: il dato della grandezza macroeconomica è inferiore alle attese degli analisti, che si attendevano un trend rialzista dello 0,3%.
Si tratta di una prima indicazione su base annua visto che il primo dato utile sulla crescita annua verrà comunicato all’inizio del mese di marzo 2020.
Già precedentemente era stata comunicata una crescita dello 0,2% a inizio dicembre 2019 nella nota mensile sull’andamento dell’economia italiana.
Calo PIL 2019: quali sono i veri motivi?
Quali sono le ragioni alla base del calo del PIL? Nel quarto trimestre 2019 ci sono state due giornate lavorative in meno rispetto al trimestre precedente.
La variazione nel quarto trimestre 2019 è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia nel settore industriale.
Inoltre, sul trend del PIL incide l’apporto positivo della componente estera netta e il contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte).
Nel quarto trimestre del 2019, riporta la nota dell’ISTAT, il valore aggiunto in termini congiunturali
“segna un calo marcato nell’industria e in agricoltura, a fronte di un sostanziale ristagno per l’insieme del terziario”.
Calo PIL: quale impatto avrà il Coronavirus?
Sull’andamento del PIL quale impatto avrà il Coronavirus? Come riporta Il Sole 24 Ore il coronavirus minaccia l’economia mondiale e 1,2 punti di PIL è a rischio.
Per Kristalina Georgieva, Direttrice del Fondo Monetario internazionale, è ancora presto per valutare l’impatto del virus cinese sull’economia cinese e su quella globale.
Numerosi broker stanno rivedendo al ribasso le loro valutazioni sugli investimenti nelle società che rischiano di subire tremendi “contraccolpi”.