Il mercato dell’usato italiano produce circa 23 miliardi ed è una scelta abbastanza ecosostenibile. Un ambito importante del nostro PIL.
Il mercato dell’usato italiano produce l’1,3% del PIL per un totale di 23 miliardi di euro, secondo i dati di Doxa dell’anno 2019 fatti per Subito. Si tratta di un ambito importante, che spesso si basa su vendite informali. Le norme che regolamentano questo tipo di vendite sono molto frammentarie e spesso diverse per ogni Regione, per lo più non adeguate e in alcuni casi vessatorie per chi si occupa di riuso.
Riuso, un anello dell’economia circolare
Riusare i beni è una parte fondamentale nell’economia circolare, perché previene il problema della produzione dei rifiuti. Nonostante questo in Italia un operatore dell’usato che si occupa della vendita in conto terzi, non ha sconti sulle tariffe dei rifiuti. Queste attività vengono spesso viste come un negozio tradizionale, ignorando del tutto il lavoro fatto nella prevenzione della produzione dei rifiuti.
Questo genere di attività non è classificata coi codici Ateco, che classifica le attività economiche per l’ISTAT – come riporta anche La Stampa. Le reali proporzioni di questo business sfuggono alle statistiche ufficiali. Inoltre i prodotti sono sottoposti alla tassazione IVA del 22%, su oggetti usati, che hanno già pagato quest’imposta. Il portavoce di Rete ONU, l’associazione degli operatori dell’usato Pietro Luppi spiega:
“I negozi di vendita dell’usato conto terzi, almeno tremila in Italia, oggi sono registrati come agenzie di intermediazione d’affari, come fossero agenzie immobiliari. In Lombardia la Regione impone al negoziante di fare un corso da agente immobiliare prima di esercitare. E poi i negozi non possono fare magazzino perché quel codice Ateco non lo prevede”.
Luppi prosegue spiegando come questo settore sia in grado di recuperare 500.000 tonnellate di oggetti durevoli che non necessitano di riparazioni. Se il settore fosse normato e ben gestito si potrebbe arrivare a 600.000 tonnellate. Si attendono i decreti attuativi del decreto legislativo 152/06 che è il Codice dell’Ambiente:
“Inibendo la preparazione per il riutilizzo perché le amministrazioni locali, a causa di questa area grigia nelle procedure che riguardano a tutti gli effetti i rifiuti, non hanno il coraggio di autorizzare impianti”.