Nel giallo della morte della teste chiave nel processo Ruby arriva una svolta che la famiglia attendeva, ecco cosa è accaduto.
Era stata esclusa l’ipotesi dell’avvelenamento per la morte della 34enne, ma la famiglia si era opposta all’archiviazione. Ora i giudici riaprono il caso.
La morte di Imane Fadil
La morte della 34enne di origine marocchina Imane Fadil risale al 1 marzo 2019 nella clinica Humanitas di Milano.
La Fadil si trovava ricoverata nel presidio ospedaliero da un mese prima della morte a causa di una patologia rara e grave: l’aplasia midollare.
L’improvvisa scomparsa ha fatto subito paventare l’ipotesi omicidio, anche a causa del suo coinvolgimento in un processo molto importante.
La donna era infatti una delle testimoni chiave del processo Ruby in cui era coinvolto il leader di Forza Italia Berlusconi.
La tesi della morte per avvelenamento però è stata scartata dai giudici anche grazie ad i risultati dell’autopsia. La Procura aveva chiesto l’archiviazione del caso nel settembre 2019.
Ora però arriva una nuova svolta tanto attesa dai famigliari di Imane e che permetterà di approfondire le indagini su quanto accaduto alla 34enne.
Il caso si riapre: ipotesi errore medico
Il legale della famiglia Mirko Mazzali aveva presentato opposizione all’archiviazione: una delle tesi ipotizzate era quella dell’errore nella diagnosi della patologia che ha portato alla morte la donna.
Il giudice Alessandra Cecchelli ha accolto la richiesta con motivazioni di importanza cruciale.
Come evidenziato infatti, gli approfondimenti che si concede di eseguire grazie alla riapertura del caso sono volti a capire se dal punto di vista medico si poteva fare di più.
“Se fosse possibile ed evitabile l’emorragia gastroesofagea.. Se fosse possibile un accertamento della diagnosi della malattia.. Infine se tale tempestività poteva evitare il decesso”.
Una squadra di periti in azione per sei mesi
Il Tribunale di Milano ha così stabilito che per sei mesi alcuni specialisti indicati dalla Procura faranno le valutazioni del caso riferendo risultato in una dettagliata perizia.
Dalle prime indiscrezioni da tali indagini si evidenzierebbe come non siano riscontrabili errori medici, poiché la malattia era in stato troppo avanzato perché una cura avesse successo in poco tempo. Nonostante ciò secondo gli esperti:
“Le scelte terapeutiche degli ultimi giorni non sono state coerenti con la diagnosi”
Esclusa chiaramente l’ipotesi di un avvelenamento: pur se i valori di nichel e cromo presenti nel corpo sono di valore superiori rientrano comunque nella norma, come evidenziato da AGI.
Resta però in piedi l’ipotesi di un’intempestività della diagnosi, imputabile non ai sanitari del 118 che soccorsero la donna 5 giorni prima del ricovero ma eventualmente di quelli ospedalieri che la ebbero in cura successivamente.
La famiglia, rappresentata dal legale, è soddisfatta della riapertura del caso, poiché in tal modo si potrà fare luce sulle eventuali responsabilità nella morte della ragazza.