Una decisione storica che riafferma il diritto internazionale del mare.
Il processo è ancora in corso, ma dopo sette anni ha raggiunto un esito fondamentale.
Il crimine riconosciuto
Nel Giorno della Memoria arriva il verdetto per l’Italia sulla Strage di Lampedusa, lo sterminio di vite umane soffocate dall’indifferenza: violazione del diritto alla vita.
La colpa è di non aver risposto prontamente alle chiamate di aiuto. Chi poi è intervenuto, Catia Pellegrino, comandante della nave della Marina militare Libra, avrebbe disatteso gli ordini.
Mentre dall’alto le disposizioni intimavano l’allontanamento dei sottoposti anziché il soccorso, persero la vita 268 persone, tra cui 60 bambini.
Il naufragio (quasi) solitario
Era l’11 ottobre del 2013 quando una barca, stracolma di persone che fuggivano dai propri Paesi, salpata nell’oscurità della notte dalla Libia poche opre prima, sta affondando nel Mediterraneo.
Richieste di aiuto arrivarono disperate e ripetute all’Italia, dagli stessi naufraghi oltre che da un areo militare maltese.
Il finale è tristemente noto.
La vita prima di tutto
Il processo condotto dall’Onu iniziò in seguito al ricorso presentato da alcuni sopravvissuti al naufragio. Il responso del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite è fondamentale e prezioso per l’umanità tutta.
Andrea Saccucci, l’avvocato dei profughi, afferma:
“Una decisione storica che per la prima volta mette nero su bianco gli obblighi di soccorso degli Stati in acque internazionali e zone Sar di competenza di altri Paesi”
Sar è acronimo di Search e Rescue, indica per l’appunto la ricerca e soccorso, tramite personale specializzato e ben equipaggiato, di persone che si trovano in situazioni o ambienti ostili (in mare o terra).
Hélène Trigoudja, membro del Comitato, ha esplicato la dinamica dei fatti.
La barca era affondata in acque internazionali. Sebbene quel punto del Mediterraneo fosse di pertinenza dei Malta per il soccorso, l’Italia vi è più vicina e lo erano, in quel momento, anche le sua navi militari.
Le ricerche hanno evidenziano come, se il Paese fosse intervenuto prontamente, avrebbe potuto prestare soccorso due ore prima che l’imbarcazione fosse inghiottita dal mare.
Il diritto internazionale del mare parla chiaro: indipendentemente dall’area di pertinenza per la ricerca e i soccorsi, gli stati sono chiamati ad intervenire sempre quando ad essere messa in pericolo è la vita degli esseri umani.
Così il Paese è colpevole di quel ritardo (di cui mai si è data esaustiva spiegazione), che fu letale a moltissimi.