L’accaparramento dei vaccini ridisegna gli equilibri internazionali e l’Unione Europea sembra arrancare tra case farmaceutiche che rivedono i patti a suo svantaggio.
Dopo la riduzione dei vaccini da PfizerBioNTech e poi Moderna (efficace al di sotto dei 55 anni d’età, secondo l’EMA) è la volta del terzo attore con cui l’Unione Europea aveva da tempo già chiuso le trattative.
Una retromarcia a metà
Dopo il putiferio dell’ultima metà di gennaio, l’azienda farmaceutica ha aggiunto 9 milioni di dosi, che si vanno ad aggiungere ai 31 già stabiliti, per un totale di 40 milioni di dosi.
Un supplemento del 30% in più rispetto all’offerta raggiunta la scorsa settimana. Modificati anche i tempi di consegna: una settimana d’anticipo rispetto agli accordi siglati solo sette giorni prima.
La notizia è racchiusa nel tweet della presidente Ursola Von Der Leyen, pubblicato ieri dopo alla firma dei patti stipulati con i SEO produttori del siero.
Ma la revisione degli accordi segue il rocambolesco dissidio tra i due protagonisti iniziato il 22 gennaio.
Da una parte l’azienda anglo-svedese comunicava la decurtazione delle forniture del 75% al cliente europeo. Dall’altro arrivavano le prevedibili reazioni di dissidio di Ursola Von Der Leyen per i patti disattesi.
Così AsrtraZeneca si giustifica asserendo che gli accordi ufficiali la invitavano a fare il possibile per raggiungere i quantitativi nei tempi concordati (80 milioni di dosi entro la fine di Marzo), ma non la vincolassero.
Carta canta
L’Unione Europea non ci sta e rende pubblico, venerdì 29 gennaio, il contratto.
Un pubblico ludibrio, in caso la multinazionale abbia a cuore le dinamiche basilari del rispetto dei contratti con il cliente.
L’importante documento reso noto ha molte parti oscurate. Pare siano state volute da AstraZeneca, secondo quando riportato da El Confidencial grazie ad una fonte anonima del giornale spagnolo.
Ma nonostante la lettura parziale, il contratto confuta una per una tutte le dichiarazioni riportate da AstraZeneca ai rappresentati europei e ai media.
A partire dal “massimo sforzo” cui si appellano come regola vincolante. In realtà le due parole sono sì presenti nel contratto, riferendosi all’impegno preso di una produzione ingente, ma non scardinano il quantitativo di commesse e i tempi di consegna stabiliti.
Seconda dichiarazione profusa dalla casa farmaceutica è il diritto della Gran Bretagna di avere la precedenza, in quando avrebbe stipulato un contratto con mesi di anticipo. Ma anche qui carta canta: in estate l’azienda metteva per iscritto di non avere stipulato altri contratti.
Terza dichiarazione è il diniego a dare all’Europa la produzione realizzata su suolo britannico. In effetti questa decisione da parte dell’azienda sembra essere arbitraria: si impegnava, per onorare i patti, a utilizzare tutti i mezzi e le sedi di produzione, tra parentesi era menzionata anche quella su suolo britannico.
Da inizio anno il ritorno continuo sui contratti a discapito del cliente europeo, segna un suo costante indebolimento.