In Somalia la tensione è all’apice: il fermo della chiamata alle urne, i manifestanti in piazza e gli spari per zittirli.
È un trentennio di forte turbolenza interna per il Paese africano che adesso sembra essere sull’orlo di un’ennesima esplosione endogena. I contendenti sono, da una parte i vecchi detentori del potere, il cui mandato è da poco terminato ma sono ancora in carica, dell’altra coloro che si candidano al potere e premono per andare alle urne.
Ai ferri corti
L’8 febbraio scorso è scaduto il mandato di Mohamed Abdullahi Mohamed, il presidente della Somalia, detto Farmajo, dalla parola nostrana formaggio, poiché è ghiotto di prodotti caseari.
Ma il “vecchio” presidente non si dimette. Non ha neanche un successore, come di prassi avviene a fine incarico.
Il motivo è che le elezioni non hanno avuto luogo. I Somali avrebbero dovuto già recarsi alle urne questo inverno, ma la crisi pandemica è stata il motivo per rimando continuo.
Così ieri una manifestazione guidata dagli oppositori a Mohamed, ha attraversato le strade della città, per chiederne le dimissioni. Ma presto la folla, di centinaia di persone, è stata dispersa dagli spari ordinati dal leader.
Le periferie ai margini della vita politica
Eletto nel 2017 nel Paese con sistema federale, secondo la costituzione provvisoria del 2013, avrebbe dovuto sostituirla con una definita. Ma non l’ha fatto.
La mancanza non è stata l’unica preannunciata nel programma politico ma elusa nei quattro anni di governo.
A lacerare la Somalia è soprattutto il divario tra centro e periferie; il primo surclassa le seconde. Mohamed aveva auspicato un dialogo tra la capitale e le regioni per bilanciare il forte squilibrio dato dallo strapotere del governo di Mogadiscio.
Farmajo non c’è riuscito e in Somalia, dove l’assetto dei clan continua a plasmare il pensiero e la società, rappresenta una grave problema.
Così, tra i momenti più nefasti, lo scorso anno c’è stato il conflitto armato scaturito tra le forze filo-federali e l’armata periferica ma molto belligerante della regione dell’Oltregiuba. A lasciare la regione di Gedo sono state 56.000 abitanti.
Così la fragilità politica e sociale permane e si rinnova dal 1991, anno della caduta del regime di Siad Barre.