Quando gli Statunitensi saranno in salvo dal covid-19, allora si rivolgeranno ai Paesi che chiedono loro collaborazione. Intanto ad aiutare chi ne ha bisogno ci sono Russia e Cina.
Che si tratti di competenze, siringhe o fiale nulla importa. La potenza mondiale provvederà esclusivamente alla propria crisi sanitaria. Una volta risolta, prenderà in considerazione le richieste degli altri Paesi.
Il “no” degli Stati Uniti
Niente di ciò che viene prodotto su suolo statunitense per l’emergenza pandemica varcherà i confini nazionali.
È quanto emerge dall’incontro tra Thierry Breton, commissario dell’industria dell’Unione Europea, e Jeffrey Zients, responsabile operativo della campagna di vaccinazione degli Stati Uniti.
I rappresentati europei, scontenti di non aver trovar la mano tesa dell’alleato, avranno forse vagliato il diniego.
Il rifiuto era già contenuto nel piano anti-pandemia dell’amministrazione di Joe Biden.
Il Corriere della sera riporta come l’importante documento, a pagina 111, afferma che l’emergenza necessiti di una risposta su scala globale, per cui è prevista la donazione di vaccini.
Ma il nobile gesto avrà luogo solo quando tutti i cittadini degli Stati Uniti sanno vaccinati, ossia in estate. Solo allora le rimanenze delle dosi partiranno verso l’estero.
Tant’è che Joe Biden ha negato il vaccino anche al Messico.
Il vicino di casa è in ginocchio più di tanti altri per la crisi sanitaria. Secondo i dati dell’università Johns Hopkins, resi noti ieri, il Paese da 126 milioni di abitanti è tredicesimo per il numero di positivi, ma arriva al terzo posto per le morti provocate dal virus.
La diplomazia dei vaccini
L’intransigenza di Washington, ma anche il passo lento del Vecchio Continente, lasciano spazio d’azione geopolitica ad altre potenze.
Così a muoversi sui ponti costruiti dalla pandemia sono soprattutto Cinesi e Russi. Le due nazioni sono in prima linea nel prodigare le proprie offerte.
Ad esempio Sputnik V è già stato acquistato da Serbia, Bosnia Erzegovina, Moldavia, Ungheria e Slovacchia.
Chi non ce l’ha, ma già lo ha analizzato e approvato (quasi 40 nazioni), lo invoca. Mentre in Italia il lasciapassare per produrlo autonomamente è già stato siglato.
Teresa Fellon, fondatrice e direttrice del “Centre for Russia, Europe and Asia studies” con sede a Bruxelles, ha affermato al Financial times come la Russia utilizzi “la diplomazia dei vaccini” per bilanciare questioni pruriginose.
Un esempio recente è la violazione dei diritti umani, emersa in modo eclatante con il caso Navalny.
Se vi fossero dei dubbi la Cina fa sapere dall’agenzia di stato Xinhua che:
“Non trasformerà i vaccini i vaccini contro il covid in nessun tipo di arma politica e strumento diplomatico”.
È indubbio che la sua autorità e autorevolezza cresce. Diventa così il Paese della scienza, della tecnologia e anche della prodigalità.
L’umanità cinese è adesso in auge e splende al confronto con l’egoismo occidentale. Anche la responsabilità è rischiarata dalla negligenza dei Paesi ricchi. Lo afferma, in un lunga disanima, El Pais.
Infatti tra le nazioni in via di sviluppo ad aver intercettato l’aiuto gratuito cinese sono ben 53 Paesi e non si limitano al continente asiatico.
Per avere un’idea della vastità e varietà delle rotte dei vaccini cinesi, basta fare qualche nome dei Paesi dove le dosi sono sbarcate: dalla Cambogia al Pakistan, dagli Emirati Arabi alla Turchia, dal Marocco alla Mongolia, dall’ Argentina al Messico, dal Cile all’Uruguay, dall’Egitto all’Algeria, dalla Sierra Leone, alla Thailandia.
La settimana scorsa erano ancora 130 i Paesi senza una sola dose di vaccino.
Se le nazioni ricche non condividono con le povere il vaccino, la pandemia potrebbe durare ancora 7 anni, spiega il ricercatore Gavin Yamey su Nature.