Si stava spostando per motivi di lavoro. Così il giovane 24enne aveva scritto nell’autocertificazione, il documento imprescindibile per spostarsi nelle zone dove l’allerta epidemiologica è alta.
Era il 14 marzo 2020, quando il ragazzo è stato fermato alla stagione Cadorna e ha presentato il foglio con la dichiarazione del “comprovato motivo” dello spostamento. Solo che il motivo non è risultato comprato ed è stato denunciato. L’iter giudiziario lo ha scagionato.
La dichiarazione menzognera
Il ragazzo aveva chiesto il rito abbreviato per la menzogna smascherata un anno fa.
Infatti gli accertamenti dei giorni successivi al controllo, hanno appurato che il giorno in cui è stato fermato era festivo per il giovane.
Il 24enne aveva dichiarato il ritorno a casa dal luogo di lavoro, un negozio, che però quella giornata era chiuso.
Una bugia legittima
Arriva oggi il risposto del magistrato che ne dichiara l’innocenza.
Non vi, è per legge, alcun obbligo di riferire la verità. Anzi, la sincerità va contro la Legge, poiché:
“In palese contrasto con il diritto di difesa del singolo”
Infatti non vi è alcuna norma nella Costituzione che impone l’obbligo giuridico ad un privato di asserire il vero nella situazione in cui la menzogna è stata fatta.
Il 24enne, difeso dall’avvocata Maria Erika Chiusolo, non ha quindi commesso alcuna infrazione.
La legge non regolamenta le autocertificazioni relative ai lockdown, che pertanto sarebbero incostituzionali.
Inoltre i dpcm sono fonti secondarie che non possono interdire la libertà personale.
Per costringere un cittadino nel proprio domicilio è valida solamente la disposizione del giudice in via cautelativa oppure sanzionarla.
L’articolo 13 indica le situazioni che legittimano il ricorso a misure restrittive e sottolinea che a stabilirle è un atto giudiziario.
Inoltre il Dpcm è in netto contrasto anche con l’articolo 16, che proclama la libertà di circolazione.
In definitiva non si può entrare in alcune aree, come quelle rosse, ma non si può costringere nessuno a rimanere a casa.