Il 18 aprile 2011 Melania Rea fu infilzata ripetutamente dalla lama di coltello e poi abbandonata agonizzante. Da allora la vita dei genitori e dell’unica figlia fu stravolta.
Per Gennaio e Vittoria Rea ogni giorno è diviso tra l’assenza di Melania, strappata alla vita lasciando un vuoto strabordante di dolore, e Vittoria omonima della nonna. La nipote adesso è 12enne ed è cresciuta senza madre, accoltellata per 35 volte, e senza padre, in carcere giacché autore del delitto a cui solo i meandri della legge sono riusciti a rimuovere la crudeltà.
Rinvenuta nel bosco
A lanciare l’allarme della scomparsa della 29enne, a una ventina di minuti dall’ultimo “contatto”, fu il marito.
Salvatore Parolisi, ex caporal maggiore dell’esercito, disse agli inquirenti che la consorte si era allontana per motivi fisiologi a durante una passeggiata in famiglia su Colle San Marco di Asciai Piceno.
Due giorni dopo, in seguito alla segnalazione anonima partita da una cabina telefonica di Teramo e giunta ai carabinieri, il corpo della giovane donna venne ritrovato, lacerato da 35 coltellate. Una siringa era rimasta conficcata nel cadavere.
Il ritrovamento avvenne nel bosco delle Casermette.
Si trova a 18 km di distanza dal monte che Parolisi aveva indicato come l’ultimo luogo in cui era stato insieme alla vittima.
Il primo e unico indagato di quella morte atroce fu il marito.
Il movente sarebbe stato la relazione con una collega, Ludovica. L’uomo le aveva promesso che avrebbe lasciato la moglie.
Ma non lo fece. Continuò a vivere il dissidio di volere stare con l’amante ma anche la moglie da cui, però, desiderava maggiore libertà.
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Melania era a conoscenza di rapporto extraconiugale e, se lo avesse spifferato come preannunciava di farlo, avrebbe intralciato la carriera del marito e dell’amante.
Allora l’uomo, incapace di prendere una decisione, si appellò alla violenza e fece fuori una delle due donne, la moglie.
Dall’ergastolo a 20 anni (che potrebbero diventare 18)
Dapprima l’assassino è stato condannato all’ergastolo in rito abbreviato.
Dopo, la pena è stata ridotta a 30 anni e infine, dopo che la cassazione ha spazzavano via l’aggevante della crudeltà, sono diventati 20.
Il motivo per gli inquirenti è la mancanza di premeditazione. L’aggressione sarebbe stata “occasionale” e scaturita da profondo disagio personale.
Adesso è nel carcere milanese di Bollate, da cui, da quasi un anno, può uscire per motivi di studio.
Si è iscritto infatti alla facoltà di giurisprudenza ed è ritenuto dai carcerieri un “detenuto modello“.
Grazie a una condotta ineccepibile in cella, potrebbe arrivare ad accorciare ulteriormente la detenzione.
“Quali sono i premi che lo stato concede alle vittime, quali ai suoi famigliari?”
Chiede sconsolato Gennaro, il padre di Melania, interpellato dal Il Centro su quelle uscite di merito concesse all’omicida.
In nome della madre
È da un decennio che Melania, oggi ragazzina, vive con i nonni a cui è stata affidata. È il motore delle loro vite.
Al momento dell’uccisione era ancora un bebè di 18 mesi. Mentre un coltello dilaniava le membra di Melania, la piccola assisteva impotente alla tragedia.
Così la figura materna l’ha vissuta solo attraverso i ricordi degli altri, perché era piccina per averne conservati di suoi.
È cresciuta nella verità riguardo un’assenza pesante e un padre ingombrante.
Al suo fianco ci sono sempre stati gli psicologi.
Il novembre scorso ha cambiato cognome, ripudiando quello paterno a favore del materno. Rea c’è stato sempre scritto sul campanello della casa dove nonno e nonna la crescono amorevolmente.
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