La Cassazione ha giudicato il militare 31enne di Somma Vesuviana, Napoli, colpevole del duplice omicidio dei due fidanzati.
Un delitto non d’impulso, ma premeditato, come si legge nelle motivazioni della sentenza. Ruotolo vedeva in Teresa e Trifone “due rivali da eliminare”.
L’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone
Era la sera del 17 marzo 2015, quando, nel parcheggio della palestra di via Interna, a Pordenone, vennero trovati senza vita i corpi di due giovani fidanzati: Trifone Ragone, 28 anni, di Adelfia (Bari), e Teresa Costanza, 2 anni più grande, assicuratrice milanese di origini siciliane, trasferitasi per amore in Friuli.
I due giovani vennero colpiti da 7 colpi di pistola, esplosi da una distanza piuttosto ravvicinata.
La posizione dei loro corpi, adagiati nell’auto di proprietà di Trifone, fece subito pensare che ad ucciderli fosse stata una persona che conoscevano, perché non avevano neppure tentato di difendersi.
Sei mesi dopo il delitto, il 19 settembre per l’esattezza, venne ritrovata la pistola con cui era stato commesso il duplice omicidio, nel lago del parco di San Valentino, a 300 metri dal parcheggio in cui Teresa e Trifone erano stati freddati.
L’arma era una vecchia Beretta 7,65 modello 1922. Un cimelio risalente al primo dopoguerra.
Le chat anonime e i tentativi di depistaggio
L’identificazione di Giosuè Ruotolo, 31enne di Somma Vesuviana, come l’omicida dei due fidanzati avvenne diversi mesi dopo, con la ricostruzione degli screzi e dei sospetti che Trifone nutriva su di lui.
Dalle indagini era infatti emerso che il 28enne ucciso aveva scoperto che la persona che, da settimane, infastidiva in chat la sua compagna, raccontandole di presunti tradimenti da parte del suo fidanzato, era proprio Ruotolo, suo ex coinquilino e commilitone.
Il 28enne napoletano aveva creato un profilo fake, Anonimo anonimo, con il quale inviava messaggi a Teresa, spacciandosi per la presunta amante di Trifone.
A seguito di quella scoperta, i due ebbero una violenta discussione, durante la quale Trifone minacciò Ruotolo di denunciarlo.
Un’eventualità che rischiava di buttare all’aria la sua carriera nella Guardia di Finanza.
In questo clima di odio e sete di vendetta, Giosuè Ruotolo avrebbe quindi maturato l’idea di uccidere i due fidanzati. Non solo Trifone, che era il suo vero obiettivo, ma anche Teresa, testimone scomoda di quanto successo.
Le prove di colpevolezza
Esattamente un anno dopo il duplice delitto, Giosuè Ruotolo viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario.
Ad incastrare il giovane commilitone diverse prove, giudicate sufficienti per arrestare il militare napoletano.
Innanzitutto, nonostante inizialmente avesse negato di essere stato in palestra la sera dell’omicidio, le telecamere di sorveglianza della zona ripresero la sua auto mentre transitava lungo via Amendola, pochi istanti dopo l’omicidio di Teresa e Trifone.
A rendere identificabile la sua auto tra le decine di Audi bianche immortalate dalle telecamere di sorveglianza, erano stati due dettagli, senza i quali forse Giosuè Ruotolo l’avrebbe fatta franca.
Il primo era un faro posteriore rotto, il secondo, ancora più decisivo, un pupazzo che oscillava nell’auto, sul cruscotto anteriore.
Quel pupazzo gli era stato regalato dalla fidanzata Maria Rosaria.
Incastrato da quelle immagini, Ruotolo ammise di essere stato in palestra, ma di non essere neppure sceso dall’auto perché non aveva trovato parcheggio.
Quando venne ritrovata l’arma del delitto proprio nel parchetto di San Valentino, Ruotolo dichiarerà di essersi fermato lì pensando di fare una corsetta, ma di aver poi desistito per via del freddo eccessivo.
La sera dopo il delitto, quando viene data la notizia dell’omicidio di Teresa e Trifone, il militare cancella dal suo pc tutte le chat. Comportamento reiterato anche nelle settimane seguenti.
Gli inquirenti scopriranno infatti la cancellazione di molti dati anche dal pc di Somma Vesuviana, forse con l’aiuto del fratello.
La complicità dell’ex fidanzata di Ruotolo
Un ruolo chiave nella vicenda è anche quello di Maria Rosaria Patrone, al tempo del delitto fidanzata di Giosuè Ruotolo.
La ragazza, di professione avvocato, è stata condannata con giudizio separato, a 10 mesi di reclusione, con l’accusa di false informazioni ai pm e favoreggiamento nei confronti di Ruotolo.
La giovane, quando le indagini si erano concentrate sul suo fidanzato, aveva chiesto ad alcune amiche di non fare menzione del profilo fake creato dal compagno per minare il rapporto tra Teresa e Trifone.
La condanna all’ergastolo di Giosuè Ruotolo
Il 13 gennaio dello scorso anno la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Giosuè Ruotolo alla pena dell’ergastolo.
“L’odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa lo avevano assalito già da tempo. Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio già da tempo”
aveva sottolineato in primo grado il pm Pier Umberto Vallerin.
Il giovane militare, che dal canto suo si è sempre professato innocente, avrebbe ucciso il commilitone e la sua fidanzata per non compromettere la sua carriera.
Questa mattina la Cassazione ha messo la parola fine a questa lunga vicenda processuale, rigettato il ricorso dei legali di Ruotolo.
Il giovane militare campano dovrà scontare la pena dell’ergastolo e pagare 15mila euro di pese processuali.