L’invasione dell’Ucraina per opera della Russia sta avendo, per il regime di Vladimir Putin, gravi conseguenze non solo in termini di uomini persi al fronte, ma anche a livello economico. Oltre alle sanzioni dei governi occidentali, Stati Uniti e Unione europea in testa, molti marchi hanno deciso di abbandonare Mosca.
Sia per problemi di sicurezza, sia per la decisione scellerata di attaccare il paese di Volodymyr Zelensky, H&M, Coca-Cola, Adidas, Ferrari e molte altre compagnie hanno disinvestito e tagliato i ponti con la Russia. Vediamo nel dettaglio chi e come ha lasciato.
Guerra in Ucraina, da a Nike a Coca-Cola passando per Apple: tutti i marchi che hanno lasciato la Russia
Partiamo dai colossi dell’abbigliamento. Nike ha deciso a marzo di lasciare la Russia, ma solo a giugno ha deciso che non riaprirà più i suoi negozi. Adidas, invece, per il momento ha solo sospeso la collaborazione con la federazione calcistica russa. Questo nonostante nel 2020, il 2,9% del fatturato dell’azienda sia stato generato proprio nel paese di Putin, Ucraina e Csi. Per quanto riguarda il mondo dello sport, Decathlon è dal 29 marzo ha chiuso i battenti per problemi di approvigionamento.
H&M ha annunciato a luglio che uscirà dal mercato russo, il sesto al mondo per quanto riguarda la catena di abbigliamento, lasciando i 150 punti vendita presenti nel paese. “Dopo maturata riflessione, constatiamo che è impossibile continuare la nostra attività in Russia“, ha reso nota la direttrice Helena Helmersson in un comunicato.
Non solo: anche Prada, a cui fanno capo anche Miu Miu, Church’s e Car shoe, ha mostrato preoccupazione per le famiglie in Ucraina e ha deciso di sospendere le attività in Russia, assieme a Levi Strauss & Co, che sta anche cercando un acquirente per i punti vendita. I media russi hanno fatto sapere che Fiba Holding A.S, turca, potrebbe comprarli. Ha fatto, invece, marcia indietro Uniqlo. Dopo le prime dichiarazioni del ceo giapponense, Tadashi Yanai, in cui specificava di non voler lasciare la Russia, adesso l’azienda ha deciso di abbandonare la vendita.
Anche il mercato degli smartphone ha voltato le spalle al regime putiniano. Apple ha sospeso la vendita dei prodotti, e ha anche deciso che rimuoverà RT News e Sputnik dagli App Store fuori dalla Russia; mentre Samsung non spedirà più né telefoni né chip. Il colosso coreano devolverà anche 6 milioni di euro all’Ucraina. Ma tra i grandi brand di telefonia: Xiaomi, Lenovo e Huawei hanno preso la stessa scelta.
Non va meglio neanche sul mercato alimentare. Coca-Cola, così come PepsiCo, hanno chiuso le attività in Russia, con i secondi che hanno anche sospeso le pubblicità e gli investimenti di capitale. McDonald’s ha già venduto gli 850 ristoranti alla società Sistema Pbo a maggio. I punti vendita ora si chiamano “Delizioso e basta” e sono aperti da giugno.
Starbucks a fine maggio ha abbandonato la Russia dopo aver chiuso le 130 caffetterie presenti sul territorio. Il colosso, però, è venuto in soccorso dei suoi dipendenti e gli pagherà lo stipendio per altri sei mesi. Mentre Heineken non produrrà, non venderà e non farà più pubblicità nel paese di Putin, dicono da Bloomberg.
La multinazionale con sede in Svizzera, Nestlé, ha bloccato le consegne dei beni di prima necessità in Russia e in tutti paesi della Comunità degli Stati indipendenti, ha bloccato le esportazioni dei prodotti Nespresso e Sanpellegrini e ha messo un freno agli investimenti pubblicitari.
Ikea ha sospeso la produzione, la vendita, le importazioni e le esportazioni dalla Russia, e la Lego pure. L’azienda di giocattoli danese ha cessato l’attività commerciale, ha licenziato i dipendenti e ha messo fino alla partnership con Inventive Retail Group, che possedeva e gestiva i suoi negozi.
La società farmaceutica statunitense Johnson & Johnson non vende più prodotti per la cura personale, ma prosegue a fornire dispositivi medici e medicinali, anche perché non fanno parte dei beni per cui si possono incorrere in sanzioni. Sono stati stoppati, però, gli studi clinici che si stavano portando avanti in Russia.
Philip Morris, colosso dell’industria del tabacco, ha abbandonato il paese ma continua a pagare gli stipendi dei 3200 dipendenti, ha annunciato Jacek Olckaz, amministratore delegato dell’azienda statunitense.
Dopo un iniziale temporeggiamento, con tanto di critiche da parte dell’opinione pubblico, ha lasciato la Russia anche Koch Industries, un colosso industriale globale che nel paese di Putin produce vetro in due stabilimenti in cui lavorano 600 persone.
Stop alle vendita in Russia: Visa e Mastercard dicono sì, e anche Ferrari
A porre un ulteriore stop all’economia russa ci hanno pensato poi Visa e Mastercard che hanno deciso di sospendere le operazioni e i servizi di rete. Per quanto riguarda i secondi, nelle banche della Russia non verranno più emesse carte supportate dal circuito, che non funzioneranno nel paese neanche se emesse al di fuori. Né agli sportelli, né nelle attività commerciali.
In merito alle banche, poi, la situazione è piuttosto delicato, specialmente per l’Italia, tra le più esposte al mondo verso la Russia. Paolo Scaroni, Luciano Cirinnà e Giorgio Callegari escono dal board della compagnia russa di Ingosstrakh di Assicurazioni Generali, che chiude anche l’ufficio di Mosca e le attività di Europ Assistance.
Mentre Zurich Insurance ha ceduto le sue attività ai componenti dello staff russo, i quali ora agiscono sotto un diverso marchio.
Il mondo dell’export pure ha risposto sì all’abbandono del paese putiniano. Il colosso danese di spedizione tramite container Maersk non accetterà ordini da e per la Russia, di qualsiasi genere, così come Dhl. Mentre MSC fornirà solo cibo e medicine, considerati beni essenziali.
Ultimi, ma non meno importanti, i marchi di gas, petrolio e automobili che hanno lasciato la Russia. Shell uscirà dalla joint venture con Gazprom e lascerà anche il progetto del gasdotto Nord Stream 2. Anche Bp, azienda inglese, non sarà più una società partecipata dell’azienda russa Rosneft. A dichiararlo è stato l’amministratore delegato, Bernard Looney: “La decisione che abbiamo preso come consiglio di amministrazione non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche nell’interesse di lungo termine di Bp“, ha detto. Decisione simile a Equinor.
La francese TotalEnergies non investirà più su nuovi progetti in Russia, Exxon sta pensando a un’exit-strategy, Eni ha venduto la quota con Gazprom per il gasdotto Blue Stream. Mentre altre realtà sta ancora valutando il da farsi.
Dal mondo delle quattro ruote: Renault, Volvo, Volkswagen, Jaguar, Land Rover, Renault e General Motors hanno chiuso i battenti, Mazda ha invece bloccato le forniture di parti di ricambio.
Ford ha sospeso le attività fino a data destinarsi così da sostenere il popolo ucraino, e la Ferrari ha detto stop alla produzione dei veicoli per il mercato della Russia. Addio al paese di Putin anche da parte dell’Harley Davidson, che ha annunciato di non volere più esportare le sue moto.