Neanche il tempo di somatizzare la caduta del governo Draghi che è già tempo di pensare alle elezioni. Alleanze, dichiarazioni, intrecci di potere per comprendere come sarà il Parlamento che verrà, e quindi quale esecutivo governerà l’Italia (presumibilmente) per i prossimi cinque anni.
Il Pd strappa con il MoVimento 5 Stelle, ma non apre al polo centrista di Renzi. E soprattutto: che ne sarà del presidente del Consiglio dimissionario?
Elezioni 25 settembre, centrodestra compatto. Il PD chiude all’alleanza con i 5Stelle
Le elezioni del 25 settembre sembrano avere un esito scontato. I sondaggi parlano chiaro, così come le proiezioni: l’Italia, nelle prime consultazioni elettorali in autunno (dal 1919), potrebbe incoronare la prima presidente (o presidenta?) del Consiglio donna. Sì, ovviamente parliamo di Giorgia Meloni.
La leader di Fratelli d’Italia, infatti, ha pagato la scelta di non appoggiare il cosiddetto “governo dei migliori” (di cui molti stanno ora scrivendo i necrologi) e si è candidata – già prima che l’esecutivo implodesse – a guidare il Paese. Non siamo certo noi a dirlo, sono i numeri che parlano chiaro: con il 22,8%, FdI è il primo partito.
Altrettanto chiaro, però, è che da sola, Meloni, non può governare. Perché, sempre numeri alla mano, il 22% (o poco più) non è neanche un quarto del totale. Ma non c’è da disperare (per il centrodestra): ad aiutarla, con altrettante percentuali importanti, ci sono Lega e Forza Italia, al lordo delle diaspore che ci sono state (Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta in testa, con Mara Carfagna che ci pensa) e delle decisioni prese solo mercoledì.
Con il 14,4% del partito di Matteo Salvini e l’8,4% di quello di Silvio Berlusconi, si arriverebbe con il premio di maggioranza a formare un governo di centrodestra, un’esperienza che manca dal 2008 con l’ultimo esecutivo guidato dal Cavaliere, finito però con l’arrivo di Mario Monti e lo spread alle stelle.
Che ne sarà, però, dell’opposizione (nel caso eh, qui si sta ancora ragionando per ipotesi)? Il Partito Democratico riflette, tanto. Se FdI, infatti, si laureerà a essere la compagine più votata, il principale partito del centrosinistra sarà il secondo, e per cercare di sovvertire un esito già scritto, c’è da ragionare sulle alleanze.
Fino a giovedì 14 luglio, dopo aver formato due esecutivi consecutivi insieme, lo schieramento politico del leader Enrico Letta aveva ben chiaro chi sarebbe stato il partito con cui coalizzarsi: il MoVimento 5 Stelle. Ora, però, gli equilibri sono cambiati e il segretario, così come Dario Franceschini, hanno chiuso le porte in faccia a Giuseppe Conte.
L’avvocato ed ex premier non sembra affatto dispiaciuto, anzi. Per la prima volta si candiderà e lo farà da solo, senza “nessuna stampella”, anche in nome di cui principi che da sempre hanno caratterizzato il movimento di Beppe Grillo. Ci sarebbe lo scoglio delle primarie in Sicilia, in cui corrono insieme, ma una rottura dell’ultima ora non è uno scenario da sottovalutare.
Elezioni 25 settembre: Letta guarda a Calenda e ad Articolo 1, su Renzi ragiona
Comunque, tornando al PD, di carte da giocare ce ne sono tante. Alcune strizzano l’occhio alla sinistra, altre ammiccano al centro, che potrebbe avere un ruolo fondamentale nelle elezioni del 25 settembre.
Se da una parte è quasi sicuro che Articolo 1 di Pierluigi Bersani e del ministro della Salute, Roberto Speranza, ci saranno, così come Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e i Verdi, dall’altra la situazione è decisamente più ingarbugliata.
Perché, in quel polo di centro, assolutamente vicino ai dem sul fronte draghiano, ci sono due personaggi non banali: Matteo Renzi e Carlo Calenda (c’è anche +Europa di Emma Bonino, in effetti, ma con lei ci si parlerà prima di agosto, quando si dovranno chiudere le liste da presentare).
Partiamo da lui, dal leader di Italia Viva. L’ex sindaco di Firenze è stato l’artefice di uno dei momenti più alti del Partito Democratico (oltre il 40% alle elezioni europee del 2014), ma nel corso di questa legislatura ha rotto con il Nazareno e si è costruito uno schieramento tutto suo, portando con sé i fedelissimi.
Divisivo in più di un’occasione, Renzi potrebbe pagare uno scotto personale con Letta – il famosissimo “Enrico stai sereno” che ha portato alla caduta del governo del segretario di ora e che ha reso il fiorentino premier, da segretario di allora. Ma non è l’unico motivo: agli elettori democratici, un’alleanza con il capo di IV piace meno di quanto piace ai vertici del partito. Il gioco, insomma, non varrebbe la candela.
Discorso diverso per il numero uno di Azione, che potrebbe contare su un 4,9% alle elezioni. Pure Calenda è uscito dal PD, lo ha fatto perché non accettava l’entrata al governo con il MoVimento, condannandone pubblicamente le decisioni. Ora, però, che si stanno chiudendo le porte a Conte, l’ex candidato sindaco di Roma potrebbe entrare a far parte della coalizione per fronteggiare il centrodestra.
In un’intervista a Repubblica ha lasciato intravedere qualche spiraglio, ma ha anche posto delle condizioni stringenti: “Se si liberano di certe frattaglie a sinistra, se dicono sì ai rigassificatori e ai termovalorizzatori“, ha detto Calenda, che non ha mai nascosto l’importanza di portare avanti l’agenda Draghi.
Quanto al presidente del Consiglio dimissionario, sarà molto difficile vederlo scendere in campo come invece fu per Monti nel 2013. Appare altrettanto difficile, a conti fatti, unirsi nel suo nome, senza che lui ce lo metta.
E poi c’è Luigi Di Maio. L’ex capo politico dei Cinque Stelle non ha ancora un partito, e si dovrà capire a quale corte vorrà cedere. Con Beppe Sala, sindaco di Milano, sta lavorando a una nuova area liberal-ecologista. E se fossero loro l’ago della bilancia?
Intanto, tra dichiarazioni e corteggiamenti, la campagna per le elezioni è iniziata. Che vinca il migliore. Anche se, a dir la verità, al momento, ad avere la grande fetta di (non) voti sarà l’astensionismo.