Dopo la caduta del governo Draghi e, in questo caso, lo scioglimento delle Camere è già tempo di pensare alle elezioni. La campagna del voto, partita molto prima che l’esecutivo implodesse, entrerà ora nel vivo. Ma come verranno distribuiti i seggi? Ecco il Rosatellum, la legge elettorale firmata da un ex esponente del Pd, con cui già abbiamo votato nel 2018
La legge ha sostituito l’incostituzionale, in alcune sue parti, Italicum, ed è stato approvata nel 2017 con il voto favorevole del Partito Democratico, della Lega e di Forza Italia.
Elezioni 25 settembre, come funziona il Rosatellum
Quante volte avete sentito parlare di riforma della legge elettorale? Tante, vero? Sembra che, ogni Parlamento che si insedia in Italia, debba rimettere mano su come i cittadini andranno a votare o, meglio: come verranno spartite le poltrone tra Camera e Senato.
La questione, in effetti, è tutt’altro che banale – le penultime due, Italicum e Porcellum, sono state dichiarate in parte incostituzionali e “sistemate” dalla Consulta. Il punto, però, non è solo questo: scegliere tra sistema maggioritario (chi vince le elezioni, governa) o sistema proporzionale (tutti hanno rappresentanza in Parlamento) è difficile. E lo è soprattutto in Italia, in cui ci sono tanti i partiti che corrono per formare un governo avendo la maggioranza nelle due aule.
Il Rosatellum, ovvero la nostra legge elettorale, approvata nel 2017 con il voto favorevole di Partito Democratico, Lega e Forza Italia, e ideata dall’allora deputato del Pd, ora di Italia Viva, Ettore Rosato, è un connubio tra i due sistemi.
Il 37% dei seggi, ovvero 148 alla Camera e 74 al Senato, sono assegnati con il sistema maggioritario a turno unico in altrettanti collegi uninominali. In pratica, in ciascun collegio, è eletto il candidato più votato. Un altro 61%, quindi 244 deputati e 122 senatori, è ripartito in modo proporzionale tra le coalizioni e le singole liste che abbiano superato le soglie di sbarramento.
In effetti, qua, la questione si fa molto più spinosa. Perché, in primis, a Montecitorio la ripartizione dei seggi è effettuata su base nazionale, mentre a Palazzo Madama è su base regionale, poi perché sono istituiti dei collegi plurinominali a liste bloccate di candidati.
Prima si verifica se la lista o la coalizione di liste abbia superato le fatidiche soglie (3% per le liste singole e 10% per le coalizioni alla Camera, 20% su base regionale per liste e coalizioni per il Senato, se non nei casi delle liste di rappresentanza delle minoranze linguistiche. Ulteriore precisazione: ogni lista in una coalizione deve prendere almeno l’1% dei voti su base nazionale), poi si determina il quoziente elettorale. Ovvero: si divide il totale delle cifre elettorali, quindi i voti espressi per le liste o dei voti trasferiti dai candidati nei collegi uninominali alle liste collegate, per il numero dei seggi da assegnare.
Le operazioni, però, non sono concluse perché poi si divide la cifra elettorale di ciascuna coalizione o lista per il quoziente elettorale con cui si ottiene il numero di seggi da assegnare. Quelli che rimangono sono attribuiti, ancora, alle coalizioni o alle liste che dispongono dei maggiori resti.
Il restante 2% dei seggi, 8 deputati e 4 senatori, sono eletti dagli italiani residenti all’estero con un sistema proporzionale che prevede il voto di preferenza.
Non è previsto il voto disgiunto.
Il Rosatellum tra problemi di ingovernabilità e la necessità di coalizzarsi
Il Rosatellum è stato spesso tacciato di dare problemi di governabilità. In verità, non si tratta di dicerie fine a stesse. Il 4 marzo del 2018 siamo andati a votare con la legge elettorale del deputato di IV e le cose non sono andate bene fin dall’inizio.
Il MoVimento 5 Stelle, che correva da solo, aveva preso poco più del 32% dei consensi tra Camera e Senato, la coalizione di centrodestra il 37,25% (media tra i due rami del Parlamento), mentre il centrosinistra si era fermato a poco meno del 23%. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, così come i pentastellati, non avevano i numeri per ottenere una maggioranza da soli, e quindi, per formare il governo, sono servite sempre delle coalizioni post-elettorali.
Nel primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, i 5Stelle hanno governato con la Lega di Matteo Salvini; nel secondo, sempre sotto l’egida dell'”Avvocato del popolo”, c’erano dentro M5S, Partito Democratico e Articolo 1, poi anche Italia Viva. Nell’ultima esperienza con Mario Draghi, una situazione che aveva dell’eccezionale, è vero, all’opposizione c’era solo il partito di Giorgia Meloni, FdI. Le larghe intese, però, non sono bastate perché durasse fino a fine legislatura, e il resto è storia recente.
In pratica, così ripartita, e con le attuali proiezioni, a governare potrebbe essere il centrodestra, forte di una coalizione unita e con numeri importanti. Mentre ad avere la peggio potrebbero essere i Cinque Stelle, abbandonati anche dal Pd. Ma le cose potrebbero non essere così semplici.
Solo in questi ultimi giorni abbiamo assistito a fuoriuscite clamorose, non tanto nel merito, quanto nei fatti, da Forza Italia. E di diaspore, che possono azzoppare il futuro esecutivo, ce ne potrebbero essere anche altre.
La prossima legislatura, magari senza Covid e guerre di mezzo, potrebbe rimettere mano sulla legge elettorale, ma la battaglia sarà tutto meno che semplice.