Luigi Di Maio sembra avere le idee chiare, e non solo su quello che vuole per il futuro, ma soprattutto su ciò che bisogna scongiurare a tutti i costi. Il ministro degli affari esteri ha detto chiaramente in un’intervista al ‘Quotidiano Nazionale’ quale debba essere la linea per il prossimo futuro
Luigi Di Maio è un uomo diverso. E no, non è semplicemente cambiato. Si è evoluto, diranno alcuni; involuto, penseranno altri. Scelta fatta, biglietto pagato e aereo atterrato. Verso il centro, stavolta. Oggi il ministro ha detto cosa non vuole essere.
Di Maio e l’altra faccia della moneta. E non solo per le elezioni
Ma la sostanza quella rimane e ora Giggino è pronto a camminare da solo, per poi unirsi con altri. Che in politica i me contro tutti finiscono sempre nel peggiore dei modi, mettiamo le mani avanti. Sangue vivo, non aglio e antidoto in una cella di vampiri (elettorali). Una proposta nuova o comunque curiosa e in cui una fetta di italiani diseredati dalla loro stessa acme politica potrebbero rivedersi.
E poi ci sono da raccogliere gli indecisi e gli astensionisti, i primi in numero crescente, i secondi ormai una marea. Che tanto alla fine vincono sempre loro, ma sa comunque di sconfitta e lo è di fatto. Ma quel percorso tutto romano di sale prestigiose e poltrone, prima nel governo Conte e poi nell’esecutivo Draghi, per gli italiani, sempre alla ricerca di altro rispetto a chi sta alla maggioranza, sono punti in meno. Ed è paradossale.
Gigi, Gigi e ti tirano dalla giacchetta. Sono passati anni e quell’università per cui veniva declassato e schernito all’inizio, se l’è fatta sul campo il classe 1986, nato ad Avellino. Il phisique du role, la cravatta ben stretta, con il nodo che caracolla e poi si assesta per bene, non casualmente al centro (ci mancherebbe). E poi c’è l’autostima e l’autorealizzazione, che sommati vogliono dire senso di autorità: simbolo di una facciata e una faccia diversa. Di chi ne sa e di chi va oltre, forse anche contro la sua stessa natura. Di chi chiude un amore per pensare un po’ a sé, che comunque è giusto modellarsi e mettersi al primo posto per poi scegliere meglio, nel caso.
Quello di Di Maio è un percorso che da Beppe Grillo è iniziato, da quell’impetuoso MoVimento che dai camion, le piazze e i palchi è passato alle percentuali vertiginose e poi al Parlamento. Come la storia dell’uovo e la gallina. Senza aver paura di cadere, ma neanche di sbagliare.
E così si finisce per bruciare le tappe e probabilmente smarrirsi un po’. Ma la sensazione, quando ora si guarda in faccia Di Maio, non è di osservare uno di quelli che ha perso, sulla via che dalla Campania porta a Roma, la sua stessa natura, per malcelarsi in una maschera di ferro e con le catene strette al muro. Indivisibili. L’idea è di un uomo, un politico più maturo e che la strada sa tracciarsela da solo. D’altronde il Ministero degli Esteri non è una palestra, ma una stigmate e Di Maio non ce la mostra sotto giacca e camicia, ma la vediamo comunque. Ben impressa. E le ultime dichiarazioni lo dimostrano bene.
I ‘no’ scritti in maiuscolo. La via per le elezioni è tracciata
Ora torniamo all’attualità e all’effetto domino degli ultimi giorni. Il governo Draghi è caduto, e rovinosamente, dando il via a un’escalation di eventi che ci condurrà direttamente al 25 settembre, a quelle elezioni che già odorano di centro-destra e di donna, di Giorgia Meloni.
E comunque Giggino ha lasciato il MoVimento 5 Stelle, intanto, e gli stracci stanno ancora volando. Soprattutto con Beppe Grillo, che la parabola del figliol prodigo di rado si avvera e concretizza sull’altare del risentimento. Il comico, poi diventato blogger e politico, l’ha accusato direttamente: “Fa politica per lavoro, è cartelletta“, forse un po’ da padre deluso o da amante tradito. Ma così è e Di Maio, un po’ più moderato e pacato (quale vuol essere ed è diventato), l’attacco l’ha formulato alla sua maniera. In un’intervista al ‘Quotidiano Nazionale’, infatti, il ministro degli Affari Esteri lo dice a chiare lettere: “Bisogna evitare che l’Italia finisca in mano ai populismi, agli estremismi e ai sovranismi“. Poi aggiunge, e senza stringere i denti, girando un po’ la testa verso destra: “Si eviti di diventare un Paese che strizza l’occhio a Putin“.
E questa non è cosa di poco conto. È vero che le parole di Di Maio sono molto più rivolte proprio a Meloni, Salvini e Berlusconi più che al suo passato, ma la rottura con il MoVimento parla da sé e ora dalla stessa parte di chi stacca la spina a orologeria, di chi sta contro Draghi e banalmente con Giuseppe Conte, non ci vuole più stare. E forse è anche giusto così per un Giggino diventato grande.
E la cui agenda politica sarà ancora molto fitta, perché ci sono delle elezioni da conquistare. Che nessuno ha desiderato dalle sue parti, al contrario dell’opposizione e che ci stanno un po’ scomode, ma che ora sono inevitabili. Come uscire dall’acqua, in spiaggia, nel bel mezzo di un acquazzone estivo, improvviso e turbolento. Di Maio, però, non affronta i prossimi eventi politici come chi dalla poltrona ci è cascato. Semplicemente guarda oltre quella siepe leopardiana che sa tanto di poesia e stasi, poco di evoluzione.
C’è un centro che più variegato non si può e a cui tanti potrebbero annuire e non per dovere. Dall’ala renziana ai delusi dalla caduta di Draghi, allo stesso ex presidente della banca d’Italia che di Monti ha poco, ma che il suo potrebbe farlo tra discese in campo e un endorsement che pare inevitabile. Per come è finita e per come ricomincerà. E che potrebbe fondarsi sul concetto di responsabilità e mordere il freno per allontanarsi da quello che gli italiani non vogliono essere. Scappare via per tornare dopo l’interruzione, ma senza ricreazioni e con delle colpe in più da addossare e sgambetti che saranno rinnegati. Senza Var.
Un centro a cui Di Maio strizza l’occhio – stavolta sì -, e che potrebbe accoglierlo a braccia aperte, come un’adozione d’amore. Che tanto i figli si amano allo stesso modo, anche senza viziarli e strattonarli sul palco. Pungolando gli avversari sulle loro derive polibiane e accelerate, e con un calcio sotto il tavolo agli italiani, per sapere da chi non vogliono essere rappresentati. Il ministro, prima di Conte e poi di Draghi, è pronto a rivedercisi, e probabilmente lo fa già, ma senza smarrire chi è appena diventato. Con la cartelletta in soffitta.