Più passano i giorni, più la possibilità che Azione/+Europa di Carlo Calenda ed Emma Bonino entrino a far parte della coalizione del centrosinistra con il Partito Democratico sfuma. Sono tanti i nodi su cui i due schieramenti sembrano non convergere, uno su tutti i nomi sul piatto per i collegi uninominali, con Nicola Fratoianni in testa. Ma non c’è solo quello, c’è anche la scelta di allearsi con il nuovo partito di Luigi Di Maio, Impegno Civico
Dal canto suo, poi, il segretario dem Enrico Letta, che sembra aver chiuso le porte a Matteo Renzi e a Italia Viva, ha lanciato il suo appello al terzo polo: “Aiuta le destre“, ha detto dal palco della festa dell’Unità di Casalgrande, a Reggio Emilia.
Coalizione centrosinistra, Calenda verso il no all’alleanza con il Pd
Entro oggi, o al massimo domani, dopo l’incontro tra Carlo Calenda, leader di Azione, ed Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, si saprà qualcosa in più, e di decisivo, sulla coalizione del centrosinistra.
Non è un gioco, anzi: ne va della possibilità di governare l’Italia dopo le elezioni politiche del 25 settembre, o quantomeno di provare a strappare voti alla coalizione di centrodestra (decisamente più avanti nei sondaggi, trainata da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni). E su questo, Letta, dal palco della festa dell’Unità di Casalgrande, a Reggio Emilia, ha lanciato un monito chiaro, che suona più come un sos.
“Mi sento di fare un appello a tutti coloro che hanno dubbi in queste ore sul fatto di creare una larga e convinta alleanza che sia in grado di battere le destre e che pensano che fare un terzo polo sia più conveniente. Penso che il terzo polo sia il modo migliore per aiutare le destre“.
E chi aveva orecchie per udire, ha inteso cosa volesse dire, il numero uno del Pd. Uno su tutti proprio quel Calenda diviso tra la posizione di Emma Bonino (leader di +Europa, con cui si è già alleato) e quello delle transfughe di Forza Italia Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, abbracciate e accolte dopo l’addio al partito di Silvio Berlusconi, reo di non aver votato la fiducia all’esecutivo di cui facevano parte.
Da una parte, la storica leader radicale vorrebbe sposare la causa del Partito Democratico, dall’altra puntano i piedi per evitarla. Trovano anche terreno fertile le due ministre ex forziste, perché a non andare giù all’ex candidato sindaco di Roma sono tante cose. E non si nasconde neanche.
“Agli elettori di Azione non possiamo chiedere di votare Di Maio, Bonelli (anti Ilva, termovalorizzatori e rigassificatori) e Fratoianni (che ha votato 55 volte la sfiducia a Draghi) nei collegi uninominali“, ha scritto subito su Twitter, salvo poi continuare la sua battaglia culminata con una lettera rivolta proprio a Letta.
La lettera mandata a @EnricoLetta con @Piu_Europa. Sono proposte ragionevoli e indispensabili per avere una coalizione credibile. No candidati che non uniscono nei collegi uninominali (da entrambe le parti); un minimo di coerenza nei programmi. Decidete. pic.twitter.com/69V9Lyi1UV
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) August 1, 2022
Ecco, secondo Calenda serve che non vengano candidati nei collegi uninominali esponenti che hanno apertamente voltato le spalle al governo di Mario Draghi, nel cui nome si può riunire una coalizione oltremodo segmentata, ma anche che si abbia un’agenda più o meno condivisa, almeno sui punti cardine del programma.
Per esempio, al leader di Azione, così come anche a Matteo Renzi (di cui parleremo dopo), non è piaciuta per nulla la proposta del segretario del Pd sulla patrimoniale, quella che potrebbe favorire una dote ai diciottenni, secondo quanto ha detto in un’intervista al Tg2 proprio sabato. Importanti sì, questi giovani, ma per cui servono formazione e meno tasse sul lavoro, secondo l’ex ministro dello Sviluppo economico del governo di Paolo Gentiloni.
La dote ai diciottenni è una proposta che aggira i veri problemi che sono formazione e tasse sul lavoro. Parlare di patrimoniale terrorizza i cittadini che escono da due anni di COVID e sono alle prese con inflazione. Sui grandi patrimoni è inefficace perché scappano. Come in Fra https://t.co/WqVKSKxzi4
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) August 1, 2022
Insomma, non si litiga, pardon si discute tanto per farlo, così come tanto per farlo non ci si deve coalizzare. Dopo tutto, Azione potrebbe cedere anche alle avance di Renzi.
Renzi corteggia Calenda per un terzo polo unito, ma i numeri non lo aiutano
Calenda e Renzi si possono trovare almeno sul programma. È sui numeri che divergono, specie quelli che riguardano l’ex premier ed ex sindaco di Firenze. Ci può essere un apparentamento tra i due partiti, ma difficilmente si potrà parlare di coalizione, perché correndo insieme ci sono delle soglie da superare e, con le percentuali su cui si attesta Italia Viva al momento, si potrebbe andare incontro a una morte annunciata.
Il primo sbarramento delle liste al 3% non è un problema, ma è piuttosto quello del 10% delle coalizioni a spaventare Azione, forte di almeno un 5% contro uno scarsissimo 3% (a voler essere proprio ottimisti) del partito di Renzi, e quindi un 8% che non serve a nessuno.
Le percentuali del fiorentino, uno dei politici meno popolari dell’intero panorama, sono anche il motivo per cui il suo vecchio schieramento, quello di cui è stato segretario, il Pd, non ha nessuna intenzione di coinvolgerlo nella coalizione e lo fa correre da solo, quasi a schiantarsi contro un muro.
Dal canto suo, Renzi non ha visto di buon occhio, esattamente come Calenda (ancora un punto in comune), che i dem abbiano imbarcato Impegno Civico, il nuovo partito di Luigi Di Maio, ex capo politico del MoVimento 5 stelle, con Bruno Tabacci, Articolo 1, ma soprattutto Sinistra Italiana nella coalizione del centrosinistra. La non fiducia votata per troppe volte nei confronti dell’esecutivo dell’ex presidente della Banca centrale europea da parte di Nicola Fratoianni sono un deterrente a volersi sedere allo stesso tavolo delle trattative.
Tavolo delle trattative in cui, invece, Pd e Iv si sono sedute insieme almeno per tre anni. Non abbastanza però per andare oltre le frizioni, e soprattutto i numeri risicati che in “dote” porta Renzi.