Enrico Letta e Carlo Calenda ce l’hanno fatta. I due leader del PD e di Azione hanno trovato l’accordo, dopo giorni di botta e risposta, un po’ di tensione, volontà comuni e divergenti. E poi, alla fine del percorso, dopo 120 minuti di confronto che ha portato al patto finale e all’alleanza. Scopriamo i retroscena e il percorso che ha condotto il Partito Democratico e il partito di Calenda a correre insieme.
Erano tante le questioni spinose e i punti su cui fermarsi e poi ripartire insieme. E le ultime ore, prima di questa mattina, non avevano affatto aumentato l’ottimismo per un accordo che alla fine è arrivato. Nelle prossime elezioni, scattate dopo la caduta del governo di Mario Draghi, il Pd e Azione correranno insieme, con tutte le ricadute che questa notizia ha per l’intera politica interna italiana.
Letta e Calenda hanno trovato l’accordo: ecco i punti principali
Ieri sera ci eravamo svegliati con uno stato d’animo completamente diverso rispetto a come ci siamo svegliati. Se ieri, infatti, a un certo punto, le porte in faccia e gli stracci volanti sembravano troppi per il Partito Democratico e per Azione, ora la nebbia se n’è andata e ha lasciato spazio a un cielo più sereno e fatto di punti in comune.
Ma andiamo con ordine. Oggi alle 10 di stamattina, ma alcuni dicevano le 11 e avevano ragione, era programmato l’incontro tra Enrico Letta e Carlo Calenda per verificare i significati di un’alleanza tutta a sinistra e che rappresenta una notizia importante soprattutto per gli esiti elettorali e anche per la destra. Destra che, invece, la sua coalizione ce l’ha già, ed è costituita dal trio formato da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
L’incontro alla fine è andato in scena poco dopo le undici e si è concluso in 120 minuti. Due ore che hanno seguito i vertici degli scorsi giorni e che hanno portato (non senza difficoltà) a un’intesa anche sui collegi uninominali: la decisione è chiara, nessuno dei leader della coalizione correrà nel maggioritario. Adesso l’accordo è ufficiale e non si potrà più tornare al punto di partenza.
E oggi, durante quelle due ore di incontri serrati e trattative, se ne sono viste delle belle, ma con un cielo che si è sempre più rasserenato con il passare dei minuti. E poi è arrivato il via libera finale, quello delle strette di mano da cui non si retrocede e che ha trovato come base l’unione di diversi punti in comune. Compromessi e visioni d’insieme, da cui ripartire insieme per contrastare la destra, attualmente in pole position nella corsa alle elezioni del 25 settembre.
I retroscena della giornata decisiva: c’è l’accordo tra Pd e Azione. Reazioni e conseguenze immediate
Tutto è bene, quel che finisce bene, ma non proprio per tutti e come sempre quando c’è un accordo. Intanto, è il 2 agosto ed è la data in cui dobbiamo prendere atto dei nuovi scenari che riguardano le alleanze e i piani elettorali delle varie parti in causa.
Per il momento, parliamo di cosa è successo nella mattinata di oggi. Se ieri le posizioni sembravano sempre più chiare e rigide, nelle ultime ore è tornato il sereno. Come un temporale estivo, che si conclude con i raggi di sole più attesi e che portano giochi, simpatia e allegria. Ma, in questo caso, c’è poco da sorridere e da festeggiare, che c’è la destra che scappa e pare sempre più difficile da raggiungere.
Ma facciamo un passo indietro. Ieri ci sono stati una serie di botta e risposta tra il leader Dem e Carlo Calenda. E il punto era sempre lo stesso: il numero uno di Azione aveva messo sul tavolo dei punti programmatici ed Enrico Letta aveva risposto a chiare lettere “niente veti”. Una porta sbattuta in faccia, ma che in fin dei conti non si rivelata tale. E l’aveva preannunciato anche Emma Bonino di +Europa. Proprio la Bonino aveva detto, tra una frecciatina e l’altra, che l’accordo era ancora possibile. E così è stato, ma ora vi raccontiamo come.
Se giovedì scorso Letta e Calenda si erano incontrati da soli all’Arel, stavolta così non è stato. Infatti, al tavolo con loro si è seduta anche +Europa e, in particolare, Benedetto Della Vedova. L’appuntamento, come se fossero amici che non si vedono spesso e che devono incastrare i loro impegni per beccarsi, è alle 11 del mattino, a Montecitorio.
Ma l’incontro parte mezz’ora dopo, perché Calenda e Ricchetti fanno tardi, puta caso quelli che all’accordo erano un po’ più restii. E durante il vertice si discute tanto. Prima, dalle parti in causa, trapela un “50 e 50” che non sa affatto di via libera, ma di una sorta di incertezza a cui tutti sono interessati.
Poi, man mano, dalle parole si passa ai fatti e l’ottimismo torna a serpeggiare. Tanto che la fumata bianca di cui vi parlavamo sventola dopo solo due ore. È vero che altri incontri c’erano già stati e il punto decisivo era ormai quello dei collegi uninominali, ma comunque i punti essenziali erano già stati messi sul tavolo e diversi sono in comune.
Innanzitutto i protagonisti del tavolo di oggi hanno in comune il metodo e il supporto all’azione del governo Draghi. Che comunque non è cosa banale, visto quanto successo negli ultimi mesi in Parlamento. Poi c’è il no convinto all’aumento del carico fiscale, ma anche il bonus 110% e tante altre riforme a cui è arrivato il doppio sì e senza troppi dubbi. Come da veri alleati.
Vi parliamo della questione dei diritti civili, del salario minimo, di cui tanto si è parlato negli ultimi mesi. Rigassificatori che sono essenziali nell’ambito di una transizione sostenibile. Il piano, insomma, è pronto ed è costituito da un mix di progresso e moderazione. Che poi sono cardini di sinistra e sono, dunque, punti fondamentali di un programma comune. E su cui alla fine tutti hanno messo la firma e siglando un patto decisivo per il futuro della sinistra.
Ora, quindi, la questione dell’accordo è archiviata e ha portato all’intesa a sinistra. Ma facciamo un passo indietro e torniamo a ieri, quando Matteo Renzi aveva detto, senza fare troppi complimenti, che subito dopo l’intesa tra Pd e Azione “la destra avrebbe brindato”. E ora vediamo se accadrà davvero, anche perché “Repubblica” afferma che i leghisti si stessero informando dell’incontro di oggi e che volessero prendere contezza del possibile accordo.
Accordo che ora Enrico Letta ha commentato, ed esattamente all’opposto rispetto al leader di Italia Viva: “Il passo che è stato fatto oggi rende veramente contendibile il voto“, dice il numero uno dei Dem. Ha affermato, inoltre, che era “un dovere superare gli ostacoli e trovare un’intesa che permettesse al Pd di mettere in piedi una proposta vincente”, e che sia convincente rispetto alle alternative che arrivano da destra. Poi Letta afferma con una certa soddisfazione: “Guardiamo al futuro con grande fiducia“.
Discorso chiuso, quindi? Non proprio, perché ulteriori reazioni sono arrivate dalla destra e ancora da Giuseppe Conte, quindi, dal MoVimento 5 Stelle. L’ex presidente del Consiglio si è fatto sentire attraverso un post sul suo profilo Facebook: “Finalmente è finita la telenovela tra Letta e Calenda – scrive il leader dei pentastellati – e in bocca al lupo alla nuova ammucchiata“. Poco dopo chiarisce a chi si sta riferendo: “Un’ammucchiata che va dalla Gelmini, quella dei tagli alla scuola, al Partito democratico, passando per Calenda, che non ha mai messo il naso fuori da una Ztl“. E poi passa ai programmi: “Loro si riconoscono nell’agenda Draghi. Salario minimo legale, lotta all’inquinamento e alla precarietà giovanile saranno fuori dalla loro agenda – specifica Conte -. Ma non c’è nessun problema, se ne occuperà il MoVimento”.
E, quindi, Conte prende le distanze dal suo stesso passato e si concentra su un futuro in cui i pentastellati hanno già deciso di correre da soli. Ma non è l’unica reazione arrivata nelle ultime ore. E, in questo caso, ci stiamo riferendo alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
La politica romana ha dichiarato senza troppi giri di parole: “È finita la storiella di Azione come partito moderato e che doveva piazzarsi come alternativo alla sinistra tutta tasse, assistenzialismo e nemica del ceto produttivo”. Due attacchi in uno, quindi, per la numero uno di FdI. Il patto siglato ha chiarito il quadro delle alleanze e in attesa di Matteo Renzi e del terzo polo. A tal proposito, Meloni afferma: “Ci sarà la solita sinistra“.
Altre reazioni sono arrivate dalla destra e, in particolare, da Forza Italia. Ha parlato, e non sono parole a caso, Anna Maria Bernini: “Ecco come si cambia per non morire. Mettersi tutti insieme appassionatamente e guadagnare un posto al sole, salvare il salvabile”. Poi conclude: “L’hanno fatto sottoscrivendo un accordo, a tratti umiliante, e che sotterra definitivamente la coerenza“. Parole forti, dunque, e senza mezzi termini.
A cui si aggiungono anche quelle di Antonio Tajani. Il coordinatore di Forza Italia si è fatto sentire attraverso il suo profilo Twitter e specificando: “Azione getta la maschera e ora è la quinta colonna del Partito democratico e della sinistra”.
E, infine, negli ultimi minuti è arrivato anche il commento più importante in questa vicenda. Quello che dalla finestra più vicina ha cercato di capire che piega avrebbe preso l’intera coalizione e se ne avrebbe potuto farne parte. Ci stiamo riferendo ovviamente a Matteo Renzi, leader di Italia Viva, e che adesso, preso atto dell’accordo tra Pd e Azione, farà le sue scelte di conseguenza. E su Twitter, nonostante qualche apertura arrivata dalla sinistra, ha scritto: “Abbiamo voluto Mario Draghi al governo, soli contro tutti. Oggi non ci alleiamo con chi ha votato contro Draghi. Prima della convenienza viene la Politica. Quello che gli altri definiscono solitudine, noi lo chiamiamo coraggio. Pronti, ci siamo“.
E, quindi, Renzi si chiama fuori dalle giravolte e dagli ultimi accordi messi in campo. Lui è atteso dalla complicata sfida di raggiungere il 5%, che, secondo le previsioni di voto, non è poi così semplice.
Insomma, l’accordo tra Pd e Azione ha delle ricadute immediate e ne sa qualcosa Luigi Di Maio. L’ex MoVimento 5 Stelle ha lanciato il suo “Impegno Civico”, insieme a Bruno Tabacci, ma solo 24 ore dopo, “Repubblica” riferisce di un nuovo sviluppo e a sorpresa. Di Maio candidato nel Pd. Il ministro degli Esteri del governo Draghi sta viaggiando verso una candidatura che era totalmente inattesa fino a qualche ora fa e che è pronta a smuovere l’intero mondo politico italiano, e non solo. Ora sembra un’altra era quando Giggino etichettava il Pd come il “partito di Bibbiano”.
Ora il ministro non potrà essere candidato in un collegio uninominale e questo ha lanciato l’idea del “diritto di tribuna”, ma sotto le insegne dei democratici, nel listino proporzionale. Una novità assoluta e che non ci aspettavamo, non nello stesso giorno dell’accordo tra Pd e Azione.
Intanto, anche un po’ sottovoce, il messaggio è arrivato direttamente dal Nazareno. L’offerta di Enrico Letta prevede che nelle prossime liste elettorali verrà offerto il diritto di tribuna “ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale”. E questo ovviamente scompagina le carte per il prossimo futuro, soprattutto per chi è appena uscito dal MoVimento, sbattendo la porta e comunque è riuscito a ritagliarsi un ruolo importante, a livello nazionale e internazionale.
Insomma, il tram tram elettorale ha portato a un movimento tellurico non indifferente. Quasi un nuovo puzzle che ha ridefinito un nuovo quadro e delle alleanze profondamente diverse a sinistra e di conseguenza anche al centro. Se la destra è composta e la sua controparte ha trovato degli intenti e dei motivi comuni con cui andare avanti mano nella mano, ora toccherà vedere come si regolerà chi sta in mezzo e chi ha scelto di starci. Il terzo polo, che presto è diventato anche un hashtag molto chiacchierato su Twitter, ora vedrà davvero la luce? E con quale fetta dei consensi, dato che molto casacche sono già prese? Domande che non hanno molto tempo per avere una risposta e dato che il 25 settembre è ormai dietro l’angolo.