L’export del grano dell’Ucraina rappresenta un problema ancora molto importante per il paese assalito dalla Russia e per gli importatori. La partenza della prima nave da Odessa non può affatto far cantare vittoria, dato che ci sono ancora moltissime difficoltà logistiche e comunque una Russia che ha dimostrato quanto nessuno si possa fidarsi sul serio dei patti siglati sul Cremlino. Facciamo il punto della situazione.
La guerra tra Russia e Ucraina rappresenta un campo minato nella battaglia per le risorse e in un conflitto che non conosce fine. Infatti, non si può ormai far finta che tutto sia uguale a prima e lo sanno bene le nazioni per cui quelle risorse rappresentano una fetta fondamentale. In tal senso, nelle ultime settimane, si è parlato molto e ve ne stiamo dando conto a più riprese, delle esportazioni del grano prodotto a tonnellate dall’Ucraina e che non lasciava il paese. Ora la stretta di mano con la Russia è arrivata, ma, nonostante la prima nave sia già partita da Odessa, tanti problemi restano ancora irrisolti in questa vicenda. Vediamo di cosa si tratta.
L’export del grano ucraino è ripartito, ma nessuno tira un sospiro di sollievo
Tutti da ragazzi, e chi l’ha scelto per la vita anche dopo, hanno affrontato testi importanti come quelli omerici. E sicuramente se vi parlo di Ulisse e dell’Odissea, sapete a cosa mi sto riferendo. Ma cosa c’entra con l’esportazione del grano e sulla fine che faranno le risorse e i beni essenziali durante il conflitto?
Beh, il viaggio è una metafora che la letteratura mondiale l’ha squarciata e su cui tanto si potrebbe scrivere. Pensate, quindi, a Ulisse che, tra mille peripezie, incontrando mostri, sirene, tentazioni e burrasche, ci ha messo un’eternità per tornare a casa. Ora con il grano ucraino non è tanto dissimile la situazione, se seguite la metafora, appunto. Perché, tra una provocazione e l’altra, è stato difficilissimo trovare un accordo e comunque la Russia continua ancora a pretendere per sé, senza dare priorità a quella che è già stata definita da media, esperti e non solo come una “crisi alimentare globale” in piena regola e che desta grande preoccupazione.
Ma andiamo con ordine, ricapitolando gli ultimi passaggi di una vicenda scottante sul tavolo di diversi paesi e del Mediterraneo, e comunque ci aspettiamo da un momento all’altro continue sterzate e colpi di scena. Purtroppo, però, è la realtà e non un film da vedere sul divano e con i piedi alti, con un sacco di pop corn.
Partiamo dal presupposto che l’80% dei cereali di cui beneficia il Libano provengono dall’Ucraina, per farvi capire le proporzioni di quello di cui stiamo parlando. E, quindi, le ricadute massime della vicenda sono in Medio Oriente e in Africa, proprio lì dove si sta sviluppando la crisi alimentare più profonda, di cui accennavamo poco sopra.
Comunque, proprio per questi motivi e con qualche se e ma di troppo, è arrivata la stretta da parte della Turchia e delle Nazioni Unite. E fatto sta che, dopo settimane di trattativa, in presenza del segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, è stato stretto l’accordo, in data 22 luglio, per riprendere le esportazioni del grano al di fuori dell’Ucraina. Un’ottima notizia e coriandoli sparati al cielo, dunque? Non proprio e ora entriamo nel dettaglio per spiegarvi la situazione.
Infatti, l’export dei cereali è fermo in Ucraina da troppo tempo ormai e stiamo parlando di uno dei maggiori produttori a livello mondiale. E se vi parliamo di numeri, qualche brivido spunterà anche a voi sulla pelle: si tratta di 20-25 milioni di tonnellate che non hanno mai lasciato i porti. Per farvi capire di quanto sia difficile smaltirli, basterebbe dirvi che ieri la nave “Razoni”, partita da Odessa, ne portava con sé 26 mila del totale. E, quindi, una percentuale bassissima dell’1 su 1000.
Importanti stime, a tal proposito, sono già state fatte e prevedono che servirebbero diverse decine di imbarcazioni, per gli ottimisti 400. E vi basterà dotarvi un attimo di calcolatrice per capire che sarebbero numeri così bassi solo se si avessero navi in grado di portare dalle 40mila alle 70mila tonnellate. E la Razoni, lo ricordiamo, ne portava 26 mila. E quindi servirebbero necessariamente delle imbarcazioni più grandi per smaltire tutto quel carico, ma il problema resterebbe comunque. Infatti, le acque che dovrebbero solcare per arrivare nei porti subsahariani non sono profonde e, dunque, non potrebbero passare.
Non è l’unico problema pratico che frena le esportazioni dall’Ucraina. Bisogna fare i conti con gli esiti di un conflitto devastante e in cui la Russia assale a suon di bombe e distruzione i suoi avversari, accerchiandoli e lasciandoli nella desolazione che solo i conflitti sono in grado di generare. È un dato di fatto che i corsi d’acqua che circondano l’Ucraina siano per lo più percorsi minati da ambo le parti. La necessità per proteggersi dal nemico era impedirgli di permettergli di avanzare, ma dal punto di vista commerciale questo è un disastro.
Non è possibile sapere per il momento quali mari siano stati sminati, ma di certo l’Ucraina dovrà lavorare fortemente nelle prossime settimane per creare dei percorsi sicuri. Altrimenti è ben difficile che l’Ucraina torni ai livelli di esportazione precedenti la guerra.
L’inaffidabile e spietata Russia resta un problema rilevante (anche in questo caso)
Sempre per restare sul discorso delle navi, è fondamentale valutare anche un altro aspetto particolarmente rilevante. E cioè lo stato delle imbarcazioni che dovrebbero trasportare i cereali in Libano. Ricordiamo il percorso solcato dalla nave “Razoni”, partita ieri 1 agosto alle 8.30 da Odessa. Parte dal Mar Nero e con bandiera della Sierra Leone per avere come destinazione finale proprio il Libano.
Per portare a termine un tragitto del genere, servirebbe un numero di imbarcazioni sempre più elevato, anche per il discorso delle tonnellate di carico a disposizione. E soprattutto, dovrebbero partire continuamente dai porti ucraini per giungere dove ce n’è bisogno e vi abbiamo descritto. E questo, ora, è sempre più difficile. Il paese di Volodymyr Zelensky ha a disposizione imbarcazioni che non hanno ricevuto la giusta manutenzione per mesi e che, quindi, dovrebbero subire i processi necessari prima di partire.
E tutto ciò dovrebbe avvenire in un contesto, quello della guerra tra Russia e Ucraina, in cui gli assalitori continuano a bombardare e non arretrano di un centimetro, non consentendo a Zelensky di agire liberamente. E, dicendo questo, ci ricolleghiamo al ruolo della Russia che ovviamente è essenziale per capire il destino dell’export, mentre la guerra impazza. E non solo perché Vladimir Putin il conflitto l’ha ordinato e portato avanti.
In tutto ciò, infatti, bisogna tenere conto delle valutazioni del Cremlino e di quanto il paese assalitore si sia dimostrato inaffidabile durante il corso del conflitto. Infatti, sono stati molti i tavoli che Putin ha fatto saltare per aria, anche dopo via libera e strette di mano. Si pensi a tutte le promesse sui cessate il fuoco o soprattutto sui corridoi sicuri per far passare i civili nei luoghi bombardati. Inoltre, anche dopo l’intesa per riprendere l’export di grano del 22 luglio e attuata da ieri 1 agosto, la Russia non ha dato esattamente segnali di affidabilità.
Infatti, gli assalitori hanno attaccato uno dei principali porti commerciali sul Mar Nero poche ore dopo aver siglato l’accordo con Ucraina, Turchia e Nazioni Unite. Poi hanno annunciato di avere in realtà altri obiettivi, ma la sostanza comunque non cambia e non può essere casuale. E comunque i segnali dai russi sono arrivati altrettanto chiaramente e con un messaggio inequivocabile: dato che l’Ucraina sta riprendendo l’export del grano, ora vogliamo ripartire anche noi e con le nostre di esportazioni. Di certo, se Mario Draghi auspicava che proprio su quest’argomento fosse piantato il primo seme di pace, resterà profondamente deluso.
E, quindi, ora bisogna capire nella pratica quali e quante saranno le navi in grado di partire dal Mar Nero, esportando il grano in Libano. Su quest’argomento, inoltre, ci sono state delle versioni contrastanti anche nelle ultime ore. Da un lato, infatti, la Turchia si aspetta che partano una quindicina di navi nei prossimi due giorni.
Sono numeri che, per le condizioni attuali dell’Ucraina, non stanno in piedi. E, a tal proposito, si è esposto il ministro delle Infrastrutture, Oleksander Kubrakov. Per prima cosa, ha gettato acqua sul fuoco, predicando calma e prudenza, e riducendo sempre di più l’ottimismo per un accordo difficile da tenere e da attuare. Sulla questione navi, poi, Kubrakov ha detto dei numeri completamente diversi, affermando che ne partiranno cinque nelle prossime due settimane. Pochissime rispetto a quanto atteso, ma non è possibile fare altrimenti.
E ancora non abbiamo finito, perché sul tema si esposto, e senza lasciare ulteriore spazio a equivoci, Volodymyr Zelensky. Il presidente dell’Ucraina ci ha tenuto a ribadire, in un messaggio arrivato nella notte, che non bisogna farsi delle illusioni per la nave partita ieri mattina da Odessa. Ha parlato soltanto di “primo segnale positivo” e con la chiara intenzione di fermare la crisi alimentare globale.
Zelensky, inoltre, fa leva sui partner strategici dell’accordo, e cioè Turchia e Nazioni Unite, poi lancia l’ennesima stoccata a Putin e ai suoi uomini: “Non possiamo illuderci che la Russia si astenga semplicemente dal tentativo di ostacolare le esportazioni dell’Ucraina“. Insomma, dal paese assalito arriva un grido univoco e che rappresenta la volontà di non cantare vittoria prima del tempo. E ci fidiamo anche noi, visto come ha dimostrato di comportarsi Putin fin dallo scoppio della guerra, in data 24 febbraio.
Un conflitto in cui, però, l’Ucraina sta cercando ora di reagire e che si gioca specialmente a sud e a est. In particolare, nella zona di Kherson, e quindi nel meridione, il paese di Zelensky ha riconquistato diversi territori e accerchiato anche le forze nemiche in alcuni punti. Ora, però, la Russia sta inviando un gran numero di uomini, per non perdere ulteriore terreno. E poi c’è quanto sta succedendo nel Donbass, dove Putin non ha alcuna intenzione di indietreggiare e, attraverso il meccanismo del terrore, sta portando bombe e distruzione. E ciò ha costretto anche Zelensky a lanciare l’ordine di evacuare Donetsk. Cronache di una guerra senza fine, in cui l’accordo per il grano non può rappresentare una vittoria. E vedremo quindi se, nelle prossime settimane, l’Ucraina riuscirà ad accelerare e quali saranno le contromosse di Putin, ma di sicuro ora il grano è essenziale per fermare la crisi alimentare globale, e soprattutto in Africa e negli Medio Oriente, dove ce n’è più bisogno.