Elisabetta Piccolotti e Michela Di Biase non hanno solo la coalizione (del centrosinistra) a tenerle unite. A distanza di poche ore, entrambe hanno annunciato la propria candidatura alle politiche del 25 settembre ed entrambe sono state accusate di essere là perché “mogli di”. La prima, 24 anni di militanza politica, sarà candidata con Sinistra Italiana del marito Nicola Fratoianni, la seconda, moglie del ministro della Cultura, Dario Franceschini, correrà per il Partito Democratico
Polemica anche per la candidatura sempre con Sinistra Italiana di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano ucciso in carcere nel 2009 da alcuni carabinieri che ce l’avevano in custodia cautelare: “Non sfrutto Stefano, mi candido per lui“.
Piccolotti e Di Biase: “Siamo politiche, non veniamo candidate perché mogli di”
Avere un cognome ingombrante, nel senso di famoso, è un’arma a doppio taglio. Alla riverenza dei più, si deve infatti aggiungere la costante ansia di dover dimostrare di essere all’altezza del proprio padre o nonno. Eppure il mondo è pieno di “figli di“. Che la stessa sorte, però, debbano averla anche le consorti di personaggi altrettanti illustri, con cui ovviamente non spartiscono nessun genetliaco, non solo è ingiusto, ma è anche profondamente sbagliato.
Ne sanno qualcosa tutte le mogli dei politici, ricordate ai posteri per essere le lady di qualcuno di più importante, in vista, o semplicemente per essere delle figure che al massimo possono aspirare ad accompagnare.
Esempi ce ne sarebbero a bizzeffe, anche tra i meno conservatori: Michelle Obama prima che il marito diventasse presidente degli Stati Uniti (o che decidesse di diventarlo) era una donna già impegnata politicamente, ha svolto in maniera impeccabile il ruolo di first lady, ma oltre a quello è sempre stata e sempre sarà altro. Per contro, alzi la mano chi conosce il nome di sir Merkel – che poi è anche l’uomo da cui l’ex cancelliera tedesca ha preso il cognome e con cui ora è conosciuta, e da cui ha divorziato prima che diventasse la numero uno della Germania (e per ben 16 anni). Ecco, queste non sono che due storie in cui si può notare come una persona al potere viene raccontata in maniera diversa a seconda del genere in cui si riconosce.
Un discorso diverso, poi, si deve fare per tutte quelle donne che sono famose al pari dell’uomo con cui stanno. Chiara Ferragni non è più conosciuta del marito Fedez, ma Ilary Blasi sarebbe mai diventata l’irriverente conduttrice che è se non si fosse sposata con Francesco Totti? Chiaro che si tratti di una provocazione, ma essere la moglie di qualcuno deve contare solo dentro le mura domestiche, non fuori. E ne sanno qualcosa Elisabetta Piccolotti e Michela Di Biase.
Iniziamo dalla prima. Piccolotti è una delle figure apicali di Sinistra Italiana in Umbria (è consigliera regionale), è stata tra le fondatrici del partito di Nichi Vendola Sinistra, Ecologia e Libertà, è stata anche consigliera comunale di Foligno, e portavoce dei Giovani comunisti. Solo dal 2019 è sposata con Nicola Fratoianni, il segretario di SI, nonostante stiano insieme da molto più tempo.
La sua militanza e il suo impegno politico prescindono, ovviamente e anche per ragioni anagrafiche, dal marito, motivo per cui la sua candidatura alle politiche del 25 settembre (e neanche all’uninominale) c’entra poco con qualsiasi favoritismo, cosa che hanno paventato non solo da destra, ma anche i renziani e i pentastellati.
In un post sui social, è stata lei la prima a ribadirlo, dicendo che i suoi 24 anni di impegno politico prescindono dal suo matrimonio. “A credere a quello che scrivono certi campioni destrorsi, renziani e pentastellati si può finire – a volte inconsapevolmente – a fare la parte degli utili idioti del sistema mediatico e di potere di questo paese. Un sistema maschilista e sessista, fondato sulla demolizione del valore e della storia delle donne e sulla loro riduzione ad orpello degli uomini“.
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Stesso sentimento di Di Biase, consigliera regionale del Partito Democratico per la regione Lazio, già candidata ed eletta al municipio di Roma ai tempi di Ignazio Marino, deve anche lei subire lo scotto di essere la moglie del ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha conosciuto all’interno del partito, ma a cui non deve niente per essere la seconda persona più eletta nel Lazio (e lo ha anche specificato a chiare lettere su Facebook in un lunghissimo post di condanna nei confronti dei misogini).
Per fortuna, però, il loro sfogo è stato condiviso da tanti, che hanno capito che la loro candidatura è stata voluta per meriti politici, non perché i loro mariti sono personaggi più importanti e conosciuti (al momento).
Cucchi: “Non sfrutto Stefano, ma mi candido anche per lui”
Nel balletto delle alleanze, sciolte e riproposte, come in una corrida in cui il toro diventa improvvisamente torero e viceversa, c’è anche lei, Ilaria Cucchi. La 48enne nata a Roma, sorella di Stefano, la cui triste e violenta morte non è stata dimenticata e ha scosso le coscienze di tutta l’Italia, è stata candidata con i Verdi e Sinistra italiana, che (ormai non ci sono più dubbi) correranno insieme al Partito Democratico il prossimo 25 settembre, alle elezioni. Lei ne fa una questione di diritti e niente più e non ha tardato a dirlo in un’intervista a “La Repubblica”: “Lo dico già, voglio essere strumentalizzata per la vicenda di Stefano”, annuncia. E poi spiega: “Utilizzerò quanto successo a mio fratello affinché sia un esempio per tutti“.
Insomma, dopo anni di tribunale, voci grossi e battaglie combattute con fioretto, dichiarazioni pubbliche e diplomazia, Ilaria Cucchi è pronta a scendere in campo in politica e in uno dei momenti più delicati che si ricordino negli ultimi mesi, dopo la caduta del governo Draghi. Lo farà tutta a sinistra e senza ripensamenti. Non è la prima volta, infatti, che si affaccia a questo mondo. Si era già candidata nel 2013, nella lista di Rivoluzione Civile, guidata dal magistrato Antonio Ingroia.
In quell’occasione non andò bene, dato che i suoi non superarono lo sbarramento del 4%, ma stavolta è convinta che sarà diverso. E ammette: “Sono un po’ sorpresa, non avrei mai pensato di ricandidarmi”. Poi rievoca la drammatica vicenda di Stefano Cucchi con parole da brividi: “Per certi versi, faccio politica da tredici anni, l’ho fatta sulla mia pelle…“. E qui è impossibile non pensare al toccante film che racconta nei dettagli proprio quanto capitato a Stefano. Una candidatura, quella di Ilaria Cucchi, i cui punti ricalcano sicuramente quelli della coalizione di sinistra, ma lei li spiega attraverso poche e semplici parole dritte al cuore degli elettori: “Al lavoro su giustizia e sanità, non ci sono cittadini di serie A e B”. E tuona: “Non sfrutto Stefano, ma mi candido anche per lui”. Un pugno a destra e un altro dritto sul naso a tutti i detrattori.
Una figlia di, come l’hanno definita, che da più di un decennio lotta per un bene superiore, per quel senso di giustizia che renderebbe tutti i cittadini più liberi e consapevoli. Per dare giustizia, a sua volta, a chi non l’ha avuta. E adesso lo farà (o proverà a farlo) di nuovo attraverso la politica, che ci rende più cittadini e più civili. L’espressione opposta a quel senso di barbarie e impotenza che le crepe nella giustizia ci hanno troppe volte consegnato. E non dovrà più essere così.