Parallelamente alla guerra in Ucraina, ma neanche tanto, persiste il problema delle risorse e, in particolare, l’esportazione di grano e cereali rappresenta un caso ancora da risolvere del tutto, anche se di passi in avanti ne sono stati fatti. La nave che portava con sé tonnellate di mais è arrivata a Ravenna e ora si stanno svolgendo tutte le operazioni di controllo, che sono durate diverse ore. Ma non sono mancati comunque i problemi, neanche questa volta.
La guerra tra Russia e Ucraina è arrivata a un punto cruciale, che comunque non vuol dire svolta, perché la sensazione è che il conflitto durerà ancora a lungo e senza scacco matto da nessuna delle due parti. A meno che non si inizi a ragionare e a pensare a una tregua. Intanto, il paese che ha come presidente Volodymyr Zelensky continua a lavorare per l’esportazione del grano e dei suoi derivati, ma non è così semplice portare a termine tutte le operazioni. L’ha dimostrato anche l’arrivo dell’ultima nave al porto di Ravenna. Ecco com’è andata e cosa sta succedendo.
Guerra Ucraina, il punto sul conflitto sotto tutti gli aspetti
Le bombe, le urla, il panico, il terrore, i morti, la distruzione rappresentano ormai l’ordinario in Ucraina, dove il conflitto con la Russia iniziato lo scorso 24 febbraio va avanti e senza tregue.
Una guerra in cui Vladimir Putin mira a ledere le difese dei suoi avversari non solo abbattendo e superando le linee nemiche, ma anche con una vera e propria barbarie. Tramite il meccanismo del terrore che è ormai drammatico marchio di fabbrica degli assalitori. A tal proposito, è importante, prima di tutto, fare il punto sulla guerra e sul futuro, su quello che è e che dobbiamo aspettarci.
Sì, perché il conflitto è cambiato dai suo arbori e non solo a livello geopolitico, ma intanto partiamo da qui. La geografia della guerra ci indica che le truppe si stanno concentrando soprattutto a sud e a est dell’Ucraina, lì dove sono le due vie fondamentali per tentare di battere l’avversario. Proprio a est, infatti, c’è il Donbass, proprio il territorio nevralgico e conteso fin dall’inizio delle ostilità verbali e presunte, non solo quelle di fatto e che si sono poi effettivamente verificate.
È lì, nonostante le smentite e i depistaggi arrivati a più riprese, che si concentrano gli sforzi dei russi, subito smascherati qualche settimana fa quando avevano dichiarato di voler allargare i confini della guerra. E, invece, no. Perché tutto lascia pensare che la maggior parte delle energie russe si concentreranno proprio in quella regione. E lo sa anche Volodymyr Zelensky, tanto da ordinare l’evacuazione di una città importante come Donetsk entro l’inverno, per evitare ancor più feriti e morti tra i civili. Civili che, però, stanno facendo resistenza a lasciare la loro terra: un po’ per attaccamento e un bel po’ perché la paura della partenza e dell’ignoto è comunque maggiore. Anche se ci sono i nemici russi dietro l’angolo.
A sud, invece, si sta verificando una reazione dell’Ucraina che in pochi sarebbe riusciti a pronosticare, a questo. Perché si era trattato di alcuni dei primi territori che gli uomini di Putin erano riusciti a occupare (si pensi a Kherson) e perché comunque gli assalitori ne hanno avuto di danni e perdite, e non di poco conto.
Tutto ciò va inserito in un contesto in cui le armi di lunga gittata che gli alleati occidentali hanno fornito all’Ucraina stanno funzionando e bene. Perché per la Russia è sempre più difficile difendersi e perché hanno permesso all’Ucraina di allargare, questa volta sì, i confini dei combattimenti e spingersi in Crimea, causando ingenti danni agli avversari. E occhio anche alla Bielorussia, perché Putin ora non può più sentirsi al sicuro. Ma aspettiamoci una controffensiva cruenta e impietosa, che i russi hanno già dimostrato di poter mettere in atto.
Non è l’unico piano di una guerra, in cui fare la conta di morti e feriti non è più l’unico argomento principale sul tavolo dell’Europa e del mondo. Infatti, bisogna fare i conti con i disastri conseguenti il conflitto e che, se possibile, creano ancora più preoccupazione. Ci riferiamo, in particolare, al rischio di una catastrofe nucleare, che potrebbe avvenire per gli attacchi nei pressi della centrale di Zaporizhzhia, la più grande del vecchio continente. E lì l’allerta è massima. Poi c’è una battaglia totale, perché è partita dalle necessità economiche, poi la diplomazia e ora le difficoltà logistiche. Ci riferiamo all’esportazione del grano, che comunque, anche dopo l’accordo per riprendere le operazioni, non è un problema risolto del tutto.
La nave partita dall’Ucraina è arrivata a Ravenna: ora i controlli
L’accordo per la ripresa dell’export di grano e dei suoi derivati dall’Ucraina è stata vissuta dal mondo occidentale come un grande vittoria per diversi motivi. Per primo, Putin non ci sentiva proprio sotto nessun punto di vista: impossibile trattare con lui. E poi, anche in caso di accordo, spesso li disattendeva e sorprendeva l’avversario alle spalle.
E, invece, stavolta, nonostante alcuni segnali poco incoraggianti, non è andata così. L’Ucraina ha, quindi, potuto riprendere le esportazioni di grano e derivati dal Mar Nero, ed è uno dei maggiori esponenti a livello mondiale in questo. E ciò si traduce, in termini pratici, in moltissime tonnellate di grano bloccate, senza poter partire.
Anche dopo l’accordo con la Russia, spinto dalla Turchia e dalle Nazioni Unite, la situazione non si è sbloccata e non da subito, visti i problemi logistici che l’Ucraina ha dovuto incontrare, che tutto non poteva ripartire immediatamente e soprattutto non senza conseguenze. Infatti, le navi avevano bisogno di manutenzione prima di poter solcare i mari e molti corsi d’acqua non erano porti sicuri, perché minati da entrambi gli eserciti. Il problema quantitativo non può essere sottovalutato, perché, per le attese della Turchia, servirebbero imbarcazioni più grandi e capienti. Ma poi c’è il problema della profondità delle acque. Insomma, sono ancora meno di venti e più verso le quindici le navi che sono partite e arrivate a destinazione, portando in dote grano e prodotti simili. E non è cosa banale comunque, visto che l’obiettivo delle Nazioni Unite e delle parti in causa è evitare una crisi alimentare globale, che senza il grano ucraino era più che un mostro sotto il letto. Anzi, un’opzione drammatica e concreta, come se non bastasse tutto il resto.
Una di queste è arrivata questa notte al porto di Ravenna e non senza difficoltà logistiche. Stiamo parlando di una nave cargo che è partita dall’Ucraina e che portava con sé 15 tonnellate di semi di mais. Non un quantitativo piccolo, ma neanche così grande. Per adesso va bene così, in attesa di tempi migliori. Ma, tornando a noi, i problemi non sono mancati, neanche questa volta.
L’attracco, infatti, sarebbe dovuto avvenire ieri pomeriggio, ma ha subito forti ritardi. E questo non è un treno o un aereo che porta in vacanza, ma questioni impellenti a livello internazionale. E, quindi, è un po’ più grave. I ritardi sono stati causati soprattutto dalle avverse condizioni meteo, tanto che a un certo punto si pensava che l’arrivo si sarebbe concretizzato solo durante la giornata di oggi. Alla fine, per fortuna, l’imbarcazione è riuscita a entrare nel canale portuale e ad attraccare all’una della notte appena trascorsa e questa è una piccola gioia all’interno di una guerra che non ne concede affatto.
Se allarghiamo il raggio del discorso, si tratta infatti della prima nave commerciale arrivata da Chornomorsk, che si trova vicino a Odessa, da quando è stato stipulato, appunto, l’accordo tra Zelensky e Putin. Ad aspettare la nave c’era il personale dell’Agenzia delle accise e delle dogane e monopoli, che aveva annunciato l’arrivo e la sua presenza già nelle scorse ore. E questo è un fattore rilevante, perché, con i propri tecnici specializzati e un laboratorio chimico ad hoc, sta effettuando tutte le verifiche protocollari.
Adesso, invece, sono in corso al porto di Ravenna, e più precisamente alla banchina ‘Cereali’, le operazioni commerciali della suddetta nave commerciale, ma scopriamo qualche dettaglio in più. L’imbarcazione è la Rojen, e si tratta di una nave cargo battente bandiera maltese. Le 15 tonnellate di semi di mais che porta in dote sono destinati ai mangimi per allevamenti. Pensate che l’inizio del viaggio della nave è datato addirittura 5 agosto, ed è avvenuto praticamente pochi giorni dopo le strette di mano tra Ucraina e Russia per riprendere l’export di grano ed evitare una crisi alimentare globale.
E ad attendere la nave, quasi a rimarcare l’importanza della cosa, non c’era solo l’Agenzia delle accise e delle dogane e monopoli, ma anche diverse autorità di spicco. Tra queste, è importante citare l’ambasciatore ucraino, Yaroslav Melnyk, e il comandante Francesco Cimmino. Stiamo parlando direttore marittimo dell’Emilia-Romagna, il quale è al centro delle operazioni insieme alla Guardia costiera. Sta, insomma, sovrintendendo tutti i passaggi che ora dovranno avvenire.
Ancora più nel dettaglio lo scarico della Rojen è iniziato questa mattina e più precisamente circa alle 8.50. Ora non vi spaventate, ma dobbiamo darvi un dato: le operazioni dureranno circa 30 ore, e non è detto che alla fine non siano di più. Da quanto si apprende dalle fonti dirette, dovrebbero concludersi martedì 16 agosto. Un ferragosto di lavoro, dunque, ma ci mancherebbe, visto l’importanza internazionale dello sbarco. Proprio in quella data, comunque, è attesa al porto di Ravenna un’altra imbarcazione proveniente dall’Ucraina. Stiamo parlando della Sacura, che porterà con sé 11mila tonnellate di semi di soia. Questa volta la finalità è l’alimentazione animale. E poi, è importante sottolineare che le operazioni non riguarderanno solo Ravenna. Nel porto pugliese di Monopoli dovrebbe arrivare, infatti, la Mv Mustafa Necati, anche se con un carico di ‘solo’ sei tonnellate di olio grezzo di semi di girasole.
Segno che qualcosa si è sbloccato e che la crisi alimentare, un passetto alla volta, potrebbe essere sbloccata. E ovviamente non è solo un discorso italiano, o meglio non soltanto. Perché l’importanza dell’esportazione del grano ci conduce direttamente direttamente in Turchia e da lì in Libano. Infine, alle nazioni più svantaggiate. I disastri e le catastrofi di una guerra che, purtroppo, ancora non è vicina alla sua fine.