Nel giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina, sono tanti i temi che si legano a quello che è il presente e il futuro del Paese. Ma anche la paura di ritorsioni da parte della Russia, per il significato che la festa sottende e perché si tratta di sei mesi esatti dall’inizio del conflitto. Intanto, e per prima cosa, è importante darvi conto di ciò che sta succedendo anche nelle ultime ore attorno alla centrale di Zaporizhzhia e quale direzione sta prendendo la guerra con gli aiuti occidentali che non cessano ad arrivare.
La guerra non si placa tra Russia e Ucraina e ora si interseca con diversi piani e punti di vista, come una matassa che è sempre più difficile da sbrogliare e che comunque è intricata, perché si compone di nuovi temi ed episodi problematici. La centrale di Zaporizhzhia è proprio uno di questi e non possiamo evitare di aggiornarvi su quanto sta succedendo.
Dal giorno dell’Indipendenza ucraina alla centrale di Zaporizhzhia: cosa sta succedendo
La guerra è scellerata di per sé e non è un concetto che dobbiamo spiegarvi per filo e per segno, fino a comprenderne significati e significanti. È semplicemente una delle vie più sbagliate che l’uomo conosca, anche perché si compone di scelte e atti brutali, ingiustamente.
Quanto sta succedendo in corrispondenza della centrale di Zaporizhzhia va proprio in questa direzione. Il rimpallo di colpe tra Ucraina e Russia va avanti, ma senza che si sia fatta veramente luce su quanto sta succedendo. Fatto sta che anche stanotte le truppe russe hanno attaccato di nuovo Zaporizhzhia ed è una notizia che arriva direttamente dal segretario del consiglio comunale Anatoly Kurtev.
In un messaggio su Telegram ha precisato, infatti: “Verso le quattro del mattino la Russia ha attaccato un’infrastruttura in città. Ora sono in corso le ricerche per capire quanto sono importanti i danni e l’eventuale numero di vittime”. Lo stesso Kurtev ha poi allarmato i residenti della città e invitandoli ad andare nei centri di accoglienza più vicini.
Un altro messaggio è arrivato in tal senso e non porta ugualmente buone notizie. È ad opera del presidente dell’amministrazione militare regionale, Oleksandr Starukh, che ha riferito di nuovi attacchi su Telegram. Ha scritto, infatti, che i russi stavano bombardando due distretti nella regione di Zaporizhzhia, in un posto situato a una sessantina di chilometri dalla centrale nucleare. Starukh ha precisato poi senza mezze misure: “I razzi della Russia hanno colpito alcune infrastrutture nei distretti di Shevchenkovsky e Kommunarsky. Non sappiamo ancora di eventuali vittime”.
Nelle ore precedenti, un’altra triste notizia ha catturato l’attenzione internazionale. Un dipendente della centrale nucleare di Zaporizhzhia e il suo autista sono stati uccisi da un colpo di mortaio russo: il tutto è avvenuto fuori dall’impianto. A dirlo è stato Petro Kotin, in un’intervista al “Washington Post” e si tratta del presidente dell’agenzia atomica ucraina Energoatom. Vladyslav Mitin avrebbe trovato la morte, mentre era su un taxi e stava entrando nell’area di Zaporizhzhia. Bisogna sottolineare che si tratta comunque di voci e fonti ucraine, dato che la Russia continua a smentire di aver mai bombardato la centrale, dato che è sotto il suo controllo. Quindi, il rimpallo di colpe e depistaggi va avanti, senza tregua alcuna.
A tal proposito, sono arrivate anche le dichiarazioni dell’ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite, Sergiy Kyslytsya, e non sono parole banali. Infatti, senza mezzi termini, ha definito come una vera e propria “perdita di tempo” la riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu su quanto sta accadendo in corrispondenza della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Le sue dichiarazioni risuonano come un grido d’allarme e allontanano la speranza, già flebile, di un accordo di pace: “Vorrei che fossimo stati riuniti qui dalla Russia”. Kyslytsya sottolinea la necessità di un annuncio in cui la Russia dichiari finalmente la smilitarizzazione della centrale di Zaporizhzhia, il ritiro delle truppe. E, infine, come conseguenza decisiva, la consegna del controllo all’Ucraina.
È andata in maniera completamente diversa, secondo la sua testimonianza: “Abbiamo perso più di un’ora per ascoltare una serie di brani fittizi. La tesi dei russi sui bombardamenti ucraini non regge. Nessun soggetto lucido può pensare che l’Ucraina attaccherebbe l’impianto nucleare, causando un rischio così alto con il suo stesso territorio”. L’ambasciatore ucraino dice anche che l’unica cosa che il mondo vuole sentire è una dichiarazione russa che annunci la smilitarizzazione della centrale di Zaporizhzhia da parte dei russi.
I messaggi di Zelensky e Mattarella non si fanno attendere, ma l’allerta resta alta
Il tutto sta accadendo nel giorno in cui l’Ucraina festeggia l’indipendenza. E non è affatto una festa banale, visto tutti i significati che sottende e considerando che si tratta di sei mesi esatti dall’inizio della guerra. Una data, quindi, che gli assaliti hanno cerchiato in rosso, anche per paura di attacchi particolarmente cruenti da parte della Russia.
In uno dei suoi consueti videomessaggi, Volodymyr Zelensky ha parlato all’intero Paese e non è un messaggio banale: “In questa data ci riunifichiamo da luoghi diversi. Alcuni sono in trincea, altri nei rifugi, altri sui carri armati e stanno combattendo in prima linea. Altri ancora sono in auto, in camion o in treno per trasportare tutte le cose necessarie a chi è in prima linea. Poi c’è anche chi si trova davanti a computer e smartphone per raccogliere fondi”. Poi conclude: “L’obiettivo di tutti è preservare l’indipendenza e la vittoria dell’Ucraina e siamo tutti impegnati per questo“. Il messaggio per il Giorno dell’Indipendenza ucraina, celebrata in tutta la Nazione, è sentito e accorato, ma non a cuor leggero, dato che lo stesso Zelensky aveva annunciato che oggi sarebbero potuti arrivare attacchi particolarmente crudeli da parte di Vladimir Putin e della Russia.
Zelensky si è sbilanciato anche in una promessa patriottica, ma che allontana anche la fine del conflitto: “Combatteremo fino alla fine e non cedere a nessuna concessione o ad alcun compromesso”. E conclude con un messaggio forte e chiaro: “Non ci interessa quale esercito sia, ci interessa solo della nostra terra e combatteremo per lei fino alla fine”.
Non solo Zelensky, perché, per quest’occasione, si è fatto sentire anche Sergio Mattarella, in un messaggio diretto inviato all’Ucraina: “Nella ricorrenza dell’Indipendenza Nazionale, desidero rinnovare il sostegno più convinto dalla nostra Repubblica all’Ucraina, in questo momento così drammatico, a lei e a tutti i suoi concittadini che sono impegnati a contrastare la brutale e ingiustificata aggressione della Federazione Russa. E contro la quale l’Ucraina sta resistendo in maniera legittima”. Un nuovo messaggio chiaro e che ricalca il nuovo quadro delle alleanze, in cui l’Europa è tutta unita nel sostegno all’Ucraina. Compatti contro l’invasione russa, e tutti i significati che stanno dietro.
E in questo senso devono essere lette le ultime notizie che arrivano dall’Europa e dal mondo. Cioè nell’ottica di un’Ucraina che fin da subito ha avuto qualcuno dalla sua parte e non solo dal punto di vista ideologico e politico, ma nei fatti, con sanzioni a chi ha invaso in maniera illegittima e con la mano tesa a chi doveva essere aiutato, con armi e aiuti.
A testimonianza di ciò la Germania è pronta a inviare armi a Volodymyr Zelensky e i suoi uomini per un valore di 500 milioni di euro: la finalità è chiara ed è rivolta ad aiutare l’Ucraina a respingere l’invasione russa. E forse anche qualcosa di più, vista la piega che sta prendendo il conflitto. L’annuncio è arrivato nella giornata di ieri e addirittura dal Canada tramite il portavoce del cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Entando più nei dettagli, l’Ucraina riceverà tre sistemi di difesa aerea Iris-T e circa dieci veicoli blindati Bergepanzer. E non solo, ma questa è attrezzatura fondamentale per non cedere in un conflitto che sta sempre più cambiando veste.
Non c’è solo la Germania impegnata in prima linea negli aiuti agli alleati. Infatti, proprio in occasione della festa dell’Indipendenza ucraina di oggi, gli Stati Uniti, da sempre in prima fila nei rifornimenti all’Ucraina, annunceranno l’invio di 3 miliardi di dollari che dovranno essere utilizzati per l’assistenza alla sicurezza. Si tratta del tesoretto più consistente che arriva da Washington e verrà destinato ad addestrare e finanziare gli ucraini e le loro forze sul campo nei prossimi anni. Avranno, però, anche finalità di equipaggiamento bellico, qualora ce ne fosse necessità nel prossimo futuro. Si tratta di un pacchetto che ha composizione e finalità un po’ diversi da quelli che ci sono stati fino ad ora. Da Washington sono sempre arrivate armi e munizioni che gli Stati Uniti sottraggono direttamente dai loro arsenali e destinano ai loro alleati. In questo caso, invece, gli USA si preoccupano delle esigenze di Kiev nel medio-lungo periodo e danno prova della consistenza dell’alleanza contro la Russia, non solo per l’attualità, ma per il perdurare della guerra.
Dalla Germania agli Stati Uniti, arrivando in Italia. Sì perché anche il Bel Paese ha dato prova pratica e anche privata di essere totalmente dalla parte dell’Ucraina. A tal proposito, si è espresso più volte Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, e anche Mario Draghi, nella veste di presidente del Consiglio dei ministri, almeno fino al 25 settembre, data delle nuove elezioni. Proprio quest’ultimo ha parlato in occasione del Meeting di Rimini, ribadendo la posizione dell’Italia a livello internazionale: “La credibilità interna deve andare di pari passo con quella internazionale. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Unione europea e protagonista del G7 e della Nato. Il protezionismo e l’isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale”.
L’attuale Premier è intervenuto anche sul tema del gas che, dopo le sanzioni inflitte alla Russia, potrebbe causare non pochi problemi all’Italia e agli alleati dell’Ucraina. Anche su questo tema, Draghi ha potuto rassicurare, affermando che le importazioni di gas russo sono sempre di meno e anche se dovessero essere interrotte avrebbero un impatto minore. Snocciolando i numeri concreti, gli stoccaggi sono già “all’80%, in linea con il raggiungimento del 90% entro ottobre”. La svolta è avvenuta attraverso l’utilizzo di nuovi rigassificatori: “L’Italia sarà in grado di essere indipendente dal gas russo a partire dall’autunno 2024″. E Draghi lo presenta, con più che una punta di soddisfazione, come un obiettivo fondamentale per la sicurezza del nostro Paese.
Poi ne motiva anche i significati, sostenendo che i costi del gas hanno raggiunto livelli insostenibili, assicurando che ci sono stati picchi di più di dieci volte rispetto al suo valore storico. Ripercorre anche un tema caldo della campagna elettorale italiana e che più volte è stato rimarcato da Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, negli ultimi giorni. Draghi assicura che l’Italia ha spinto più volte con l’Ue per fissare un tetto al prezzo del gas, ma poi afferma che “Alcuni paesi continuano ad opporsi, perché temono blocchi forniture”. L’attuale Premier resta comunque del suo avviso e prosegue nella sua tesi, sostenendo che “l’Unione si trova con forniture incerte e costi più alti. Nel prossimo consiglio europeo sarà presentata una proposta dalla commissione”.
È un Draghi autorevole e convinto quello che parla al meeting di Rimini. Un presidente del Consiglio che in questo momento, lo ribadiamo, rappresenta un’Italia che ha una posizione chiarissima circa il futuro dell’Unione europea e il suo impegno nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina.
Ma il piano economico e delle risorse non è l’unico affrontato direttamente da Draghi, che poi prende la palla al balzo anche per rilasciare delle dichiarazioni riguardanti il conflitto in sé e per sé. L’attenzione è rivolta ancora una volta a ciò che sta succedendo direttamente sul campo di battaglia e sul possibile rischio di una catastrofe nucleare. Draghi si unisce al Papa in un unico grido di allarme: “Si eviti un disastro nucleare a Zaporizhzhia”. E senza perdere di vista l’obiettivo che continua a essere quello di un accordo di pace, anche se ancora siamo lontani: “Dobbiamo essere pronti, per cercare una pace duratura e sostenibile”. Infine, l’ex presidente della Banca d’Italia sostiene senza mezzi termini che questo è un obiettivo compatibile anche con le sanzioni inflitte negli ultimi mesi a Putin, in quanto invasore. L’Italia è schierata, sì, ma principalmente dalla parte della diplomazia e della pace.
E nel nostro giro per l’Europa, ma in un posto un po’ particolare, visto tutto ciò che è successo dal punto di vista politico da quelle parti nell’ultimo decennio, arriviamo nel Regno Unito. Proprio a dimostrazione di quanto affermato da Draghi nel suo discorso a Rimini, è arrivata oggi la notizia di un Regno Unito – appunto – che, per la prima volta, nel mese di giugno, è riuscito a non importare carburante dalla Russia.
Non si è limitata solo a quello. Infatti, sono diminuiti drasticamente anche le importazioni di merci, arrivate a 33 milioni di sterline a giugno. Non era stato toccato un punto così basso dal 1997, secondo quanto riportato dall’Office for National Statics (Ons). Il governo conservatore, tramite premier uscente Boris Johnson, ha portato avanti un impegno ben preciso dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia: eliminerà man mano le importazioni russe di petrolio entro la fine dell’anno e le importazioni di gas quanto prima. Altri segnali di un Cremlino sempre più solo e non è fattore da non considerare in tutto l’arco del conflitto.
E nelle ultime ore sono arrivate anche delle dichiarazioni pesanti in tal senso e che definire sorprendenti non è erroneo. Sono ad opera del primo ministro britannico, Boris Johnson, che si è recato a sorpresa a Kiev, proprio per esprimere la sua solidarietà al Paese di Zelensky in occasione del giorno dell’Indipendenza. Johnson si è fatto sentire anche attraverso un post su Twitter e, visto quanto sta accadendo, sullo stesso social è già in tendenza. C’è scritto che “quello che succede in Ucraina importa a tutti noi”. E ciò a corredo di una foto che lo ritrae insieme a Zelensky.
Poi commenta ulteriormente: “Il Regno Unito continuerà ad essere al fianco dei nostri amici ucraini”. Le parole più importanti arrivano alla fine: “Sono convinto che l’Ucraina vincerà questa guerra”. E non sono dichiarazioni banali, visto che la resistenza di Kiev si sta trasformando in ben altro e gli alleati sono un fattore fondamentale in questo.
What happens in Ukraine matters to us all.
That is why I am in Kyiv today.
That is why the UK will continue to stand with our Ukrainian friends.
I believe Ukraine can and will win this war. pic.twitter.com/FIovnqJGTS
— Boris Johnson (@BorisJohnson) August 24, 2022
Non è la prima volta che Johnson dall’inizio della guerra si reca Kiev. Intanto, il lavoro per aiutare l’Ucraina va avanti e attraverso dimostrazioni concrete. Downing Street, infatti, ha annunciato nuovo sostegno militare agli assaliti per un ammontare di 54 milioni di sterline, corrispondenti a 64 milioni di euro circa. Johnson, a tal proposito, ha commentato: “Questo pacchetto di aiuti di darà alle resilienti forze armate ucraine un nuovo impulso per sostenere le loro capacità e consentendo loro di continuare la resistenza rispetto alle forze russe”. Johnson vede la guerra dell’Ucraina come un combattimento per la loro libertà, e non lo nasconde neanche in questo caso.
Un bellissimo appello ha conquistato il web che ne sta parlando molto nelle ultime ore: “Dalle ceneri delle vostre città, dalle mostruose cicatrici lasciate dai missili di Putin, sta sbocciando qualcosa di bello, un fiore che tutto il mondo può vedere e ammirare: l’inespugnabile volontà di resistenza degli ucraini“.
To the people of Ukraine on your Independence Day, I want you to know this: For however long it takes, the United Kingdom will stand with you.
У День Незалежності України я хочу, щоб її народ знав:
Велика Британія стоятиме поряд з вами стільки, скільки знадобиться. pic.twitter.com/6Gn9sYspzK— Boris Johnson (@BorisJohnson) August 24, 2022
Proprio su quest’argomento, arriva un altro segnale importante, ma stavolta non è tanto rassicurante. A parlare è stato il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: “Continuare a fornire assistenza militare all’Ucraina è qualcosa di necessario, ma l’inverno si sta avvicinando e non sarà facile”. Poi continua la sua disamina: “L’Europa pagherà un prezzo alto per il suo sostegno a Kiev”. Parole che sono arrivate in un’intervista all’emittente televisiva tedesca ZDF e che alzano il livello d’allerta, viste le possibili ritorsioni che la Russia potrebbe applicare nel prossimo futuro all’Italia e a tutti gli alleati degli ucraini.
Stoltenberg continua la sua disamina: “Stiamo assistendo a un sostegno senza precedenti da parte degli alleati europei della Nato. Un sostegno che è ad opera della Germania, del Canada, degli Stati Uniti e di molti altri Paesi del mondo”. Una premessa da cui muove per affermare che non è comunque una situazione scontata da gestire: “Non dico che sia facile, anzi richiede un duro lavoro. Mi impegno a lavorare con gli altri leader dell’alleanza in Europa e in Nord America per continuare comunque a garantire un sostegno continuo”, ha aggiunto.
Questo è, quindi, un paradigma imprescindibile dell’impegno della Nato, ma che, Stoltenberg è consapevole, avrà delle conseguenze immediate. E avverte anche il mondo: “Pagheremo un prezzo per il nostro sostegno all’Ucraina a causa delle sanzioni”. Poi motiva le ragioni di quello che sta dicendo: “La Russia usa l’energia come arma, ma in ogni caso dobbiamo capire che non c’è alternativa al nostro sostegno”. E le alternative, comunque, non rappresenterebbero una soluzione: “Dobbiamo essere chiari e senza mezzi termini: il prezzo che pagheremmo – afferma – se non avessimo sostenuto l’Ucraina e se la Russia avesse vinto la guerra sarebbe ancora più alto”.
Insomma, la guerra si allontana dalla pace, ma a questo punto l’Unione europea, come il Regno Unito, gli Stati Uniti (da sempre in primissima linea) e la Turchia sanno da che parte schierarsi. E anche la Nato ovviamente, che del conflitto è una delle motivazioni (o dei pretesti) più nobili alla base, se ce ne stanno. Tutti al lavoro per un’Ucraina che non si ritrovi all’improvviso più sola nelle difficoltà, anche se poi non sarà facile gestirne le conseguenza. Ma è sempre e comunque anche una questione politica e umanitaria, non solo militare, energetica e strategica. E anche quei piani contano molto, forse, anzi decisamente, molto di più.