È caduta nel tranello, si fa per dire, di pubblicare il video di uno stupro anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e probabile prima presidentessa del Consiglio donna della storia italiana. Prima di lei, però, lo aveva fatto il Messaggero – e da lì lo aveva preso. La procura di Piacenza, città nella quale è avvenuto lo stupro, sta cercando di capire chi è stato a divulgare le immagini andando a ledere l’articolo 734 bis del codice penale
Intanto, però, la vittima dell’aggressione sta lamentando di essere riconosciuta per strada a causa della divulgazione di queste immagini. E potrebbe anche denunciare chi le ha diffuse, compresi siti internet, testate giornalistiche e profili social.
Stupro di Piacenza, il video che non si doveva pubblicare è finito sotto inchiesta
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e possibile prima presidentessa del Consiglio donna, per fini elettorali o non, ha pubblicato sui suoi social il video dello stupro avvenuto domenica mattina nelle strade del centro di Piacenza su una donna di 55 anni ucraina che da anni vive e lavora in Italia da parte di un richiedente asilo ventisettenne proveniente dalla Guinea.
La scelta è stata piuttosto discussa, soprattutto dei suoi rivali alle prossime elezioni, Enrico Letta, segretario del Partito democratico, su tutti, ma anche da Carlo Calenda, fondatore di Azione e frontman del terzo polo. La polemica, anzi la lite ha assunto poi dei connotati diversi nel momento in cui la procura della città emiliana ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per il reatodi “diffusione senza consenso di materiale riproducente atti sessuali” – non si sa se sia stato lo stesso uomo che ha chiamato i soccorsi a riprendere le scene e poi renderle pubbliche o se lui le abbia semplicemente mandate a qualcuno che le ha poi diffuse.
Non solo, la procuratrice Grazia Pradella sta anche indagando per la “divulgazione delle generalità o dell’immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale“. In base all’articolo 734 del codice penale, infatti, “chiunque divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso, è punito con l’arresto da tre a sei mesi“. E qui c’è da fare un distinguo.
Il video pubblicato sui social dalla numero di FdI era stato ripreso dal sito del Messaggero, il primo a divulgarlo, che però si era premurato di nascondere il volto della donna oggetto di violenza oscurandolo, oltre che le sue generalità, quali nome e cognome. Stesso modus operandi del Gazzettino Veneto, ma non di Libero.
Alla testata giornalistica di Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti, così come a Rassegna Italia, Voxnews e Stopcensura, tutti siti tendenzialmente populisti e di destra, la procura di Piacenza ha notificato un decreto di sequestro del video, senza neanche la denuncia della diretta interessata.
Una via di fuga, per giornali e simili, ci potrebbe essere: il diritto di cronaca, ovvero la libertà di pubblicare informazioni di pubblico interesse. C’è un però: il diritto di cui godono i giornalisti ha molte limitazioni, una su tutte il diritto alla riservatezza, specie nei casi di violenza. Ed è per questo che difficilmente potranno avere ragione.
Ma non possono dormire sonni tranquilli neanche tutti gli altri siti o profili social che hanno contribuito ulteriormente alla diffusione del video. In questo senso, la procura di Piacenza ha chiesto alle società Google, Meta, Yahoo, Bing e Twitter di rimuoverlo, anche se loro lo avevano già fatto in autonomia.
La società che controlla Facebook e Instagram, Meta, ha spiegato che la pubblicazione del video ha violato le norme relative allo sfruttamento sessuale di adulti, mentre Twitter ha detto che sono state violate le disposizioni che regolano la pubblicazione.
A prescindere, comunque, e per il solo fatto di avere pubblicato le immagini, anche chi ha oscurato i volti dovrà fare i conti con il Garante della privacy che, in una nota, ha detto che “ha avviato un’istruttoria per accertare eventuali responsabilità da parte dei soggetti che a vario titolo e per finalità diverse vi hanno proceduto“.
L’autorità, infatti, potrà prendere provvedimenti per tutti coloro i quali hanno pubblicato le immagini in quanto nel video si sente la donna urlare. E quindi si sente la sua voce che rientra tra “le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica“.
Stupro di Piacenza, la vittima è disperata perché viene riconosciuta
Probabilmente non è per la voce, ma per il volto che, come abbiamo già detto, non è stato oscurato in tutti i video (anzi!), ma la donna di 55 dell’Ucraina, che è stata violentata da un ventisettenne richiedente asilo della Guinea, ora è disperata.
Durante un colloquio con gli inquirenti che stanno cercando di fare luce su quanto accaduto a Piacenza, ha rivelato l’Agi, ha detto: “Sono stata riconosciuta per colpa di quelle immagini“, per questo è possibile che intenti una causa civile nei confronti di tutti quei siti e social network che hanno diffuso il video dello stupro.