Il picco più alto per il prezzo del gas e dell’elettricità è stato toccato ieri: 323 euro al megawattora il costo in apertura ad Amsterdam, poi una lente discesa, fino a oggi, in cui arriva a 292 euro. Un problema per le imprese e per le famiglie italiane che accende la campagna elettorale in vista delle prossime politiche del 25 settembre.
Il primo a chiedere uno stop per consentire al governo Draghi di agire contro il caro gas è Carlo Calenda, leader di Azione e del terzo polo. A lui fa subito da eco, Matteo Salvini, numero uno della Lega, che prima lo attacca, poi dice che a mettere un tetto debba essere l’Unione europea. La polemica non si esaurisce e tra le solite liti c’è anche qualche proposta concreta. A restare centrale secondo l’esecutivo, però, è il tema del rigassificatore, necessario per avere un’indipendenza totale dalla Russia in tema d energia dal 2024.
Il prezzo del gas sale e accende la campagna elettorale
Si è parlato di tutto in questa campagna elettorale: flat tax, diritti civili, presidenzialismo, per non citare che degli esempi che hanno surriscaldato il clima già rovente che porta alle prossime politiche del 25 settembre.
Eppure c’è un tema, di interesse nazionale e non solo, che al 25 agosto, ovvero un mese prima delle elezioni, non era ancora arrivato a essere terreno di confronto: il prezzo del gas. Era difficile, però, continuare a ignorarlo, specie perché ieri ha toccato un livello record. Trecentonovantatre euro era il costo di un megawattora all’apertura di Amsterdam, è sceso, è vero, e oggi è arrivato a 292 euro, ma il problema per le imprese e le famiglie italiane rimane e rimarrà.
Il primo a preoccuparsene è stato il fondatore di Azione e leader del terzo polo, Carlo Calenda, che, dal palco del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, ha proposto di stoppare per un giorno la campagna elettorale per consentire all’esecutivo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi di cercare di porre rimedio, supportando quindi il piano del governo, “rigassificatore incluso, e un eventuale scostamento di bilancio”.
La proposta non è piaciuta a Matteo Salvini, segretario della Lega, che ha attaccato l’europarlamentare dicendo voleva sospendere la campagna elettorale “perché sa che ha già perso”.
Nel merito della questione, il leader del Carroccio ha detto che sul prezzo del gas deve intervenire l’Europa, sperando che imponga “questo benedetto tetto alle aziende”. “Se fossi nel presidente del Consiglio – ha aggiunto – io convocherei oggi a Roma Eni, Enel, A2a, le aziende produttrici di petrolio e le raffinerie per concordare con loro a livello interno un tetto sull’aumento del gas, visto che qualcuno ci sta guadagnando miliardi”.
Subito il contrattacco di Calenda, che ha definito la risposta di Salvini da adolescente innanzitutto. “Si facesse un giro fra le aziende medie e piccole e fra gli artigiani che una volta votavano Lega e chiedesse qual è la situazione sul punto”, ha spiegato prima della nuova stoccata al Capitano.
Ma le frecciatine, per il leader del terzo polo, non sono arrivate solo dal centrodestra, anche Giuseppe Conte, presidente del MoVimento 5 stelle, ha lanciato la sua: “Dov’è la responsabilità? A marzo ebbi uno scontro molto duro a Palazzo Chigi con Draghi, quando dissi che non era il caso di puntare sul riarmo perché c’erano altre emergenze, le altre forze politiche dov’erano? Oggi scoprono che c’è un problema di caro energia?”, ha chiesto provocando in un’intervista al Tg4.
Enrico Letta, segretario del Partito democratico, su Tg2 Post, ha invece spiegato come dovrebbe agire l’esecutivo del banchiere: “un decreto legge che raddoppia il credito d’imposta si può fare domani mattina – ha iniziato -. Chiediamo a questo governo di farlo, credo ci sia un consenso largo in Parlamento”.
Caro energia, le preoccupazioni degli industriali e il tema rigassificatore
Le schermaglie sono finite, rimane comunque la preoccupazione, tangibile anche nelle parole del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. “Abbiamo bisogno di interventi quali un tetto al prezzo del gas, se non viene fatto a livello europeo deve essere fatto a livello nazionale – ha dichiarato al Tg1 -. Si deve sganciare il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas e la sospensione temporanea dei certificati ets, oltre che riservare una quota di produzione delle energie rinnovabili a costo amministrato”.
Intanto un dossier nelle mani del governo fotografa un’altra situazione: il gas c’è, il problema è il rigassificatore. Secondo quanto ha spiegato una fonte dell’esecutivo all’Adnkronos se non se ne dovesse realizzare uno in tempi stretti, nel 2023 l’Italia sarebbe in emergenza e, “soprattutto non potremo affrancarci, come stiamo facendo, dal gas russo”. Insomma, gli aiuti per le imprese e le famiglie ci saranno, sono gli impianti a preoccupare, specie quello di Piombino.
La questione, qui, è davvero complessa, perché l’amministrazione comunale della cittadina toscana guidata da Francesco Ferrari – sindaco in quota Fratelli d’Italia -, così come tutti i cittadini, non vogliono il rigassificatore per problemi logistici e ambientali.
Ignazio La Russa, membro fondatore del partito di Giorgia Meloni e braccio destro della leader, però, all’Aria che tira, su La7, ha detto che la direzione nazionale lo vuole, e poi ha subito smentito, come ha confermato lo stesso primo cittadino di Piombino in un’intervista su Repubblica nella quale ha anche ribadito come, di fatto, FdI sia favorevole ai rigassificatori in generale, ma non nella città da lui amministrata.
Entro fine ottobre si dovrebbe dare l’autorizzazione al progetto dell’impianto, mentre a marzo i tubi italiani saranno probabilmente saturi e quindi, in quel momento, rischierebbero di non trovare spazio i 5 miliardi di metri cubi di gas per il fabbisogno energetico. La partita è ancora molto aperta, e con il centrodestra a vincere le elezioni, le cose potrebbero cambiare ulteriormente.