Il rimpallo delle accuse su quanto sta avvenendo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia non si ferma, tra Russia e Ucraina. L’ultima arriva da Kiev e imputa agli uomini di Vladimir Putin di aver rapito e torturato i dipendenti che lavorano nell’impianto. Il tutto va inserito nel quadro del rapporto Aiea, arrivato dopo la missione dell’agenzia nella scorsa settimana. Il punto completo sulla guerra e le sue conseguenze nefaste e che gli Europei stanno accusando.
La guerra tra Russia e Ucraina è lo specchio della barbarie, sempre di più. Da quel maledetto 24 febbraio tante cose sono successe e l’umanità è andata sempre più scemando. Sotto tutti gli aspetti da cui si veda la cosa. E purtroppo in questo quadro si può inserire anche quanto sta succedendo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia: i bombardamenti, le armi, i missili, i morti nella regione. E i dipendenti che, come avverte l’Aiea, stanno lavorando in maniera massacrante e con il rischio che la catastrofe sia provocata da un errore umano. Anche la situazione demografica dell’Ucraina, nelle ultime ore, è finita sotto i riflettori, anche del Papa, mentre l’occidente si interroga su crisi energetica e sulle conseguenze per l’economia.
L’ultima accusa di Kiev su Zaporizhzhia e lo spettro del disastro nucleare che non cessa
Rapimenti e torture. No, non è un film dell’orrore che gli appassionati del genere guardano a luce spenta e con le mani in faccia pronte a coprire gli occhi se le scene si fanno più cruente. Sono, invece, le brutture e le storpiature di una guerra scellerata e che sta mettendo in grande difficoltà tutto l’occidente e il mondo, e purtroppo ce ne stiamo rendendo conto quotidianamente.
Oggi lo scenario non è differente da quello dei giorni precedenti ed è quello della centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e ormai da settimane sotto il controllo dei russi, come tutta la regione di cui fa parte. Poche ore fa, è risuonata alle orecchie del mondo un’altra accusa pesante da Kiev ai russi. L’operatore nucleare ucraino Energoatom, infatti, ha puntato il dito contro le truppe russe che sono al comando della centrale. L’accusa è quella di aver rapito e torturato i dipendenti nelle scorse settimane.
Ne ha parlato direttamente il presidente Petro Kotin come riferito dall’agenzia tedesca Dpa. Le sue dichiarazioni fanno scattare l’allarme: “Circa 200 persone sono già state arrestate e per alcuni di loro non sappiamo neanche cosa gli sia successo. Non c’è alcuna indicazione su dove si trovino“. Non che chi lavora nella centrale stia molto meglio: “È molto difficile per il nostro personale lavorare nella centrale”. I dipendenti che sono nell’impianto di Zaporizhzhia sono circa un migliaio, necessari per mantenere in funzione la centrale nucleare. Pensate che, prima della guerra iniziata il 24 febbraio, erano 11000 le persone che hanno lavorato nello stabilimento. Numeri che fanno intendere quanto siano vessati ora i dipendenti della centrale e ciò aumenta anche il rischio di errore umano, con conseguenze disastrose.
Rafael Grossi, intanto, è tornato a parlare e questa volta facendoci venire il magone. Sì, perché il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) non ha nascosto emozione e commozione, quando ha visto le condizioni in cui i dipendenti lavorano nell’impianto di Zaporizhzhia, sotto la vigilanza e le vessazioni dei russi. Il tutto è già finito nel rapporto dell’agenzia, dopo la missione della scorsa settimana e dopo la decisione di lasciare nell’impianto, in via permanente, due funzionari dell’Aiea. Grossi ne ha parlato in un’intervista ai microfoni di “Repubblica”: “Mi hanno molto colpito due fori da colpi di mortaio di un metro di diametro sul tetto di un magazzino di combustibile nucleare. Abbiamo avuto molta fortuna, ma si sarebbe potuto dispendere nell’ambiente molto materiale radioattivo. I reattori, invece, sono ben protetti dai sarcofagi in cemento armato”. Grossi era ovviamente a capo della missione del suo team Aiea e, quindi, ha vissuto in prima persona quello che sta accadendo.
Inoltre, ha sottolineato che i magazzini sono molto più esposti a rischi. Grossi ha chiesto anche, sempre attraverso il rapporto, che venga istituita una zona di sicurezza attorno alla centrale, per prevenire il disastro nucleare. Nelle ultime ore, ha avuto anche un incontro con il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, che ha dato supporto a Grossi su questa linea, come spiegato dallo stesso direttore generale via Twitter.
Grazie 🇮🇹 per il supporto a @IAEAorg & alla proposta di creare una zona di sicurezza e protezione nucleare alla centrale di #Zaporizhzhya. E’ stato un onore incontrare il Presidente Draghi & discutere argomenti chiave come la crisi in #Ukraine e le sfide della non-proliferazione. pic.twitter.com/AN2ecuwU26
— Rafael MarianoGrossi (@rafaelmgrossi) September 7, 2022
Grazie 🇮🇹 for supporting @IAEAorg & our proposal to establish a Nuclear Safety & Security Protection Zone (NSSPZ) at #Zaporizhzhya NPP. Was an honour to meet w/ Prime Minister Mario Draghi & discuss important issues, such as #Ukraine & global nuclear non-proliferation challenges. pic.twitter.com/XmUCQj42mb
— Rafael MarianoGrossi (@rafaelmgrossi) September 7, 2022
La missione Aiea, quindi, non ha assolutamente chiuso la questione, che resta piuttosto complicato. Lo dimostrano anche gli eventi delle ultime ore. A causa del cedimento delle linee elettriche, infatti, si è deciso di spegnere la quinta unità di alimentazione della centrale. A riferirlo è stato direttamente Aleksander Volga, capo dell’amministrazione filorussa di Energodar. Parliamo ovviamente della città dove è situata la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Ha spiegato e specificato, inoltre, che la sesta e ultima unità funziona solo in parte. Nell’intervista al canale russo Rossiya-24, ha spiegato, però, che la situazione è sotto controllo. Oggi sarà comunque una giornata cruciale in tal senso, dato che una commissione apposita deciderà la modalità di funzionamento della centrale. Purtroppo non sono ancora riusciti ripristinare le linee elettriche danneggiate a Novaya Kakhova e altri centri urbani, dove la situazione resta quindi molto difficile.
La guerra con la Russia e la deportazione dei cittadini ucraini: nuovo allarme demografico
Il viceambasciatore ucraino presso le Nazioni Unite, Khrystyna Hayovyshyn, ha lanciato un altro allarme complicato sulla guerra, come non bastasse. Ha detto, infatti, al Consiglio di sicurezza dell’Onu che migliaia di cittadini ucraini vengono deportati con la forza e in territori piuttosto difficili e isolati. Secondo la sua tesi si tratta, infatti, di regioni isolate e depresse della Siberia e dell’estremo oriente russo.
Hayovyshyn è riuscito anche a fare una stima numerica di quante siano effettivamente le persone deportate e ha quantificato che si tratti di 2,5 milioni di ucraini, tra cui anche 38mila bambini. La disamina è stata riportata dalla Cnn e denuncia una situazione veramente triste e complicata, anche sotto il punto di vista demografico.
Il tutto va contestualizzato all’interno di uno schema di “filtrazione” della Russia. Il rappresentante di Kiev alle Nazioni Unite ha aggiunto anche che gli ucraini sono costretti ad andare in Russia o in territori sotto il controllo del Cremlino e vengono poi uccisi e torturati. Il pretesto che i russi utilizzano per portare avanti questa barbarie è la ricerca di persone pericolose. Il loro obiettivo sono tutti coloro che hanno orientamenti politici diversi o sono affiliati al governo, ai media ucraini. La loro fine è terribile: scompaiono in un’area grigia e i bambini vengono sottratti ai genitori. Già negli scorsi giorni, l’Ucraina aveva accusato a gran voce la Russia di genocidio, senza mai entrare così nei dettagli, però. E chiedendo anche aiuto all’occidente.
A tal riguardo, è arrivata anche la voce dell’ambasciatore Maurizio Massari. Si tratta del rappresentante permanente al Palazzo di Vetro, in Consiglio di Sicurezza. E non sono parole scontate o da prendere alla leggera: “L’aggressione russa all’Ucraina è una palese violazione del diritto internazionale”. E aggiunge ancora: “La filtrazione dei civili ucraini è una violazione dello jus in bello talmente profonda che non succedeva qualcosa del genere in Europa dalla Seconda Guerra mondiale“. E conclude la sua disamina: “È molto importante ribadire il divieto di trasferimenti forzati di civili, indipendentemente dal motivo”. A riportarlo è l’Ansa.
Un’altra voce decisamente autorevole è arrivata sulla questione ed è ancora una volta quella del Papa. Bergoglio ha rilasciato dichiarazioni molto importanti nell’incontro con i rappresentanti pontifici, come riportato dall’Ansa: “La tempesta della pandemia da Covid ci ha costretti a diversi limiti nella nostra vita di tutti i giorni e delle nostre attività pastorali. Ora sembra che il peggio sia passato e grazie a Dio possiamo ritrovarci”, ha iniziato Papa Francesco. E poi passa al tema della guerra: “Purtroppo l’Europa e il mondo intero sono sconvolti da una guerra di particolare gravità, sia per la violazione del diritto internazionale, sia per i rischi di escalation nucleare, e anche per le pesanti conseguenze economiche e sociali”. L’annuncio di Bergoglio sconvolge particolarmente: “Si tratta una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, di cui voi siete testimoni nei luoghi in cui state svolgendo la vostra missione”. Parole su cui sicuramente c’è da riflettere.
Un allarme a più voci che ha trovato il suo eco anche in Barbara Woodward. Stiamo parlando dell’ambasciatrice britannica alle Nazioni Unite che ha denunciato le azioni dei russi al Consiglio di sicurezza dell’Onu. La deportazione di massa degli ucraini che risiedevano nei territori poi occupati dai russi non è fine a se stessa o alla barbarie, ma celerebbe l’intenzione di Mosca di cambiare la composizione demografica delle regioni in questione, che avrebbe un significato storico, più ampio e che non riguarda solo la guerra.
Il tutto è stato riferito una nota della rappresentanza permanente di Londra al Palazzo di Vetro. Woodward ha detto a chiare lettere: “Siamo preoccupati: la Russia potrebbe nei fatti utilizzare le deportazioni forzate e le evacuazioni con l’intenzione di cambiare, con la forza, la composizione demografica di quelle regioni dell’Ucraina“. Un discorso terrificante, semplicemente. Woodward continua poi: “Chiediamo alla Russa di consentire alle Nazioni Unite e ad altre organizzazioni internazionali l’accesso immediato a coloro che sono detenuti nei campi e nei centri di detenzione”. E i primi passi, in tal senso, non sono tardati ad arrivare. Infatti, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito ieri su richiesta di Stati Uniti e Albania per discutere proprio della deportazione di cittadini ucraini da parte della Russia. Una filtrazione che deve cessare il prima possibile.
Dall’altra parte, però, gli ucraini non hanno alcuna intenzione di restare a guardare. Su Twitter, lo Stato maggiore delle Forze armate ucraine ha fatto il punto della situazione sulle perdite che i russi hanno riportato in guerra. Sono circa 51250 i soldati russi che sono stati uccisi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. I dati sono stati resi noti da Kiev proprio attraverso un post dello Stato maggiore delle Forze armate. I numeri in questione indicano le perdite totali che le truppe del Cremlino hanno riportato dal 24 febbraio ad oggi. Le stime, però, non riguardano solo i soldati, ma Kiev sostiene e ha comunicato che la Russia ha perso in tutto 2112 carri armati, 4557 veicoli corazzati e 239 aerei. Anche su questo, però, Russia e Ucraina non sono affatto d’accordo. Infatti, proprio nella giornata di ieri, Vladimir Putin aveva detto a chiare lettere: “Non abbiamo perso nulla e non perderemo nulla”, negando qualsiasi difficoltà militare. Il rafforzamento della sovranità russa per lui è l’unico obiettivo.
“Know us by our courage not by our fear.”
Bréon Rydell @breonrydellTotal combat losses of the enemy from Feb 24 to Sep 8: pic.twitter.com/9YBUQgEUqg
— Defense of Ukraine (@DefenceU) September 8, 2022
E passiamo alla questione energetica, che comunque resta importantissima e che, per certi versi, ha dato una buona notizia a Putin e tante brutte all’occidente. Infatti, non a caso, le esportazioni della Russia verso la Cina, soprattutto di natura energetica, hanno avuto un rialzo del 50% nei primi otto mesi dell’anno, sfiorando i 73 miliardi di dollari. Una stima impressionante e che è stata comunicato dal quotidiano del mondo imprenditoriale russo Kommersant. È stata, invece, la Roscongress, una fondazione statale russa, citata sempre da Kommersant, a sottolineare che il 78% delle esportazioni russe verso la Cina sono per petrolio, gas e carbone. Un altro fattore significativo è che la loro espansione sta avvenendo in maniera regolare. Traete voi le vostre conclusioni.
Il prezzo del gas, intanto, continua a non lasciare tranquillo l’intero occidente. Ha avviato, infatti, le contrattazioni in forte calo al Ttf di Amasterdam, arrivando sotto quota 200 euro, e questo è avvenuto tenendo la scia del futuro tetto al prezzo che l’Unione europea ha intenzione di imporre. Il prezzo del contratto future con scadenza a ottobre cede il 7,8%, a 197 euro al megawattora.
Ora facciamo un viaggetto non da poco e andiamo direttamente negli Stati Uniti. Lì dove sono arrivate delle dichiarazioni molto importanti da parte del segretario della Difesa americano, Lloyd Austin. In occasione della riunione dei ministri della Difesa della Nato, avvenuta a Ramstein, ha sottolineato: “Diversi mesi dopo il primo incontro del contact group a Ramstein, siamo di fronte a un nuovo momento chiave della guerra”. Austin, quindi, già in apertura non ha tardato a sottolineare come si tratti di settimane chiave per il conflitto. Poi aggiunge: “Come la guerra sta cambiando, così cambia anche la missione di questo contact group”. Il senso del discorso di Austin è che l’occidente è chiamato in questa fase e nelle prossime a sostenere in toto l’Ucraina, sotto ogni punto di vista.
The first good news from the #Ramstein 5!
Another tranche of 🇺🇸 security assistance for 🇺🇦 ($675 million) will include howitzers, artillery munitions, Humvees, armored ambulances, anti-tank systems and more.
Thank you to @POTUS @SecDef and the American people.— Oleksii Reznikov (@oleksiireznikov) September 8, 2022
E poi ha annunciato un sostegno, appunto, decisamente sostanzioso: “Gli Usa hanno approvato altri 675 milioni di aiuti militari rivolti all’Ucraina”. Dichiarazioni che sono arrivate sempre in apertura della riunione dei ministri della Difesa della Nato a Ramstein.
Started the day with a meeting with great friends of Ukraine Lloyd Austin III @SecDef and Gen. Mark Milley @thejointstaff
We appreciate the US staunch support of Ukraine.
Look forward to launching #Ramstein 5 Meeting with 50+ participants.
Making Ukraine stronger together!
🇺🇦🤝🇺🇸 pic.twitter.com/A4fJ3dAvnl— Oleksii Reznikov (@oleksiireznikov) September 8, 2022
I got a chance to meet with my friend @oleksiireznikov before the Ukraine Defense Contact Group meeting. The United States, along with our Allies & partners, will continue to do everything in our power to help Ukraine deter Russia’s unjust & unprovoked invasion of their homeland. pic.twitter.com/foNpK99o0r
— Secretary of Defense Lloyd J. Austin III (@SecDef) September 8, 2022
Ma oggi, negli Stati Uniti, è una giornata importante anche per altri motivi. È pronto, infatti, un contatto in videoconferenza tra Joe Biden e i rappresentanti dei Paesi del G7, della Nato e dell’Unione europea. E il tema è sempre quello tracciato da Lloyd e cioè l’immissione di ulteriori aiuti all’Ucraina. L’indiscrezione è arrivata dall’agenzia Bloomberg, citando fonti che sapevano già del programma. La videoconferenza, inoltre, è una modalità molto usata dai vertici degli Stati Uniti, fin dal 24 febbraio, data in cui è scoppiata la guerra, e Biden ha intenzione di rilanciarlo per la durata del conflitto.
Dagli Stati Uniti arriviamo in un batter d’occhio all’Italia, dove i problemi non mancano per la questione energetica, e comunque siamo in piena campagna elettorale, in vista del 25 settembre. A tal proposito, nelle ultime ore, sono arrivate altre dichiarazioni bollenti da parte di Carlo Calenda, frontman del Terzo Polo: “Sono venti giorni che chiedo di fermare la campagna elettorale e chiedo di proporre a Mario Draghi uno scostamento di bilancio. In cambio, avremo la riduzione delle promesse impossibili perché altrimenti i mercati si spaventano”. Poi allarma su quello che stiamo vivendo: “Questa è una situazione di economia di guerra. Ora noi siamo chiamati a intervenire, appiattendo le bollette, anche perché Salvini e Putin, in modi diversi e separati, stanno dicendo la stessa cosa: o levate le sanzioni o vi mandiamo gambe all’aria”. Dichiarazioni che sono arrivate a “Radio Anch’io” e che sono pesanti soprattutto nei confronti del leader del Carroccio.
Ora? Sono settimane che va avanti questa tiritera. Domani mattina alle 11? Per me va bene anche dal @pdnetwork o da @FratellidItalia @GiorgiaMeloni @matteosalvinimi @berlusconi @EnricoLetta @GiuseppeConteIT pic.twitter.com/pT0IExLeIl
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) September 8, 2022
Intanto va avanti il dibattito politico proprio con Matteo Salvini e la Lega, e su altri terreni. Il leader del partito di centrodestra ha chiesto per l’ennesima volta un tavolo immediato per bloccare l’aumento delle bollette, e Calenda ha risposto in maniera netta su Twitter, dicendosi pronto anche subito. Le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina hanno anche questi effetti in tempi di elezioni. E il 25 settembre è ormai dietro l’angolo.
E passando alla Francia, per poi concludere, da stamattina sta circolando in maniera virale un video che raffigura Emmanuel Macron, durante una chiamata storica e drammatica con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il filmato in questione non è così attuale, anzi è un piccolo passaggio del documentario “Un Président, l’Europe et la guerre”, tradotto letteralmente “Un presidente, l’Europa e la guerra”, che è già andato in onda il 30 giugno sul canale televisivo pubblico francese France 2. Il video nelle ultime ore è diventato virale su Twitter, dopo che l’ha diffuso e portato in auge la giornalista americana, Eleanor Beardsley, che lavora come inviata di NPR a Parigi.
Il video, che potete vedere in basso, raffigura una chiamata tra Macron e Zelensky, la mattina stessa del giorno in cui è partita l’invasione della Russia in Ucraina. Zelensky racconta al presidente francese che i russi aveva già mandato truppe e soldati da ogni parte, nelle città ucraine. Erano già arrivati anche a Kiev, passando per la Bielorussia. Colpisce l’espressione di sgomento del numero uno ucraino, che commenta: “È inimmaginabile”, per poi evidenziare che sarebbe andata molto peggio del 2014, riferendosi a quando la Russia ha annesso la Crimea. In quel caso, però, il Cremlino aveva concluso il tutto con una guerra lampo, senza bombardamenti e senza troppi mezzi. Stavolta non è andata decisamente così.
Zelensky sottolinea ancora di come si trattasse di una “guerra totale” e chiedeva a Macron di unire tutti i leader delle principali potenze dell’occidentali per compiere uno sforzo comune contro l’invasione e contro la guerra. In tutto ciò, Macron ascolta con un’espressione seria, crucciata e spaventata, quasi disgustata. Continua a ripetere un “Ok” che sa di presa d’atto per quello che avverrà nei mesi successivi e tutto ciò che sarebbe richiesto o a cui semplicemente avrebbe dovuto assistere. Ma a farla da padrone, probabilmente, è stata la tegola della tristezza.
Macron speaks to Zelensky the morning of the invasion. This is the beginning of Zelensky’s transformation from mild-mannered president to war chief. pic.twitter.com/QmShhALAL5
— Eleanor Beardsley (@ElBeardsley) September 7, 2022
Il documentario è servito inoltre a illustrare, tramite i racconti del giornalista Guy Lagache, gli sforzi diplomatici che il presidente francese Emmanuel Macron ha dovuto compiere durante primi mesi di invasione dell’Ucraina. Non a caso, sono state settimane che hanno coinciso col semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea. E siamo sicuri che per Mario Draghi e per l’Italia non sarà stato tanto diverso: sono mesi terribili, di terrore e di storia, ma non si può mettere in discussione l’aiuto all’Ucraina. Perché l’occidente fin da subito ha deciso da che parte stare ed è quella opposta rispetto alla guerra.