Giorgia Meloni è sempre più lanciata alla vittoria delle elezioni politiche di settimana prossima. Fin dall’inizio della campagna elettorale, dagli Stati Uniti, ma anche dalla Gran Bretagna ci si è concentrati a capire chi fosse la leader di Fratelli d’Italia, la stessa cosa la si sta facendo in Europa, specialmente nell’Ue.
Molto diversa (e stimata) dell’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi, è però la stessa Meloni che nel corso delle settimane, dei mesi e degli anni, si è preparata a diventare una figura non marginale tra Parlamento, Commissione e Consiglio. Non solo: la numero uno di FdI ha provato (riuscendoci) anche a limare le sue posizioni euroscettiche, a differenza dell’alleato Matteo Salvini che da vincitore delle elezioni del 2019 e, ancor prima, da vicepremier ha sempre preferito continuare per la sua linea di aperto contrasto alle istituzioni europee.
Elezioni 25 settembre, Meloni ha preparato il suo terreno in Europa
Atlantismo ed europeismo sono le due nuove voci che sono entrate a far parte del vocabolario personale di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. Nato nel 2012 con posizioni totalmente all’opposto, il partito che si candida a diventare il primo schieramento in Italia alle elezioni di domenica prossima nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi mesi, ha cambiato segno, soprattutto per non relegarsi a una marginalità in Europa, e anche nel mondo.
Una scelta in controtendenza rispetto a quella di Matteo Salvini, leader della Lega e alleato di Meloni nella coalizione di centrodestra, che invece sia da vicepresidente del Consiglio, sia da ministro degli Interni, ma ancor più da vincitore delle consultazioni europee del 2019 non ha mai fatto, anzi.
“Meloni ha capito che non può comportarsi come Salvini o Marine Le Pen“, ha spiegato una fonte vicina ai vertici del Partito Popolare Europeo, principale schieramento europeo di centrodestra, di cui fanno parte anche gli eurodeputati di Forza Italia, altra costola della coalizione che potrebbe vincere le elezioni politiche del 25 settembre.
L’euroscetticismo propagandato dal numero uno del Carroccio, la sua assenza nei vertici a Bruxelles quanto era a capo del Viminale, l’adesione a un partito, al Parlamento europeo, con i francesi del Rassemblement National di Le Pen, apertamente contrario all’Ue, hanno condannato la Lega all’irrilevanza, cosa che la leader di FdI non vorrebbe affatto.
E quindi un nuovo corso, sicuramente più moderato, iniziato con l’adesione, nel novembre del 2018, di Fratelli d’Italia all’ECR, il gruppo parlamentare nato per iniziativa dei conservatori britannici che, dopo la Brexit, contava solo partiti dell’Est Europa, come Diritto e giustizia, schieramento polacco di estrema destra. In mancanza di una leadership forte, furono quattro delusi di Forza Italia a prenderne le redini, passando da Silvio Berlusconi a Meloni: Raffaele Fitto, Stefano Maullu, Remo Sernagiotto e Innocenzo Leontini.
L’ex presidente della Puglia, dopo le elezioni del 2019, è diventato il capogruppo dell’ECR a Strasburgo, e nel 2020 la stessa leader di FdI è diventata la presidente del partito, che da allora ha fatto una virata verso il PPE votando, in parte, Ursula von der Leyen come presidente della Commissione e Roberta Metsola come presidente del Parlamento. La vicinanza, però, si è vista anche riguardo ad alcuni temi politici, economici che hanno portato lo schieramento a risultare molto più credibile e affidabile, tanto che nel gennaio del 2022, Fitto è riuscito anche a far eleggere il lettore Roberts Zille come vicepresidente dell’assemblea legislativa.
Il nuovo corso e il progressivo cambiamento di rotta nasce dall’idea “di avere una coalizione italiana di centrodestra che possa avere le sue interlocuzioni a livello europeo“, ha spiegato l’ex forzista. Interlocuzioni proficue considerato che, negli ultimi due anni, la presidente di Fratelli d’Italia è riuscita a ottenere incontri con Metsola, Paolo Gentiloni, che è il commissario per gli Affari economici (in quota Partito democratico), e anche l’attuale presidente del Consiglio dell’Unione europea, il primo ministro ceco, Petr Fiala.
Per Meloni i problemi in Europa potrebbero nascere in Consiglio Europeo
Se, da una parte, le cose nell’emiciclo di Strasburgo e anche in Commissione vanno piuttosto bene (e questo nonostante il voto contrario al rapporto sull’Ungheria che ha fatto storcere il naso anche al Cavaliere), la situazione in Consiglio Europeo, ovvero l’organo di governo che riunisce i capi di stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione, è piuttosto differente.
Meloni, innanzitutto, non è Mario Draghi: l’attuale presidente del Consiglio è stato per quasi un decennio a capo della Banca centrale europea e gode di rispetto e stima da parte dei suoi omologhi non solo in seno alla Comunità europea, ma a livello internazionale, che lo rendono una figura credibile oltre ogni tentativo di pulizia dell’immagine. Ma non è solo quello a pesare per quella che aspira a prenderne il posto a Palazzo Chigi.
Tra i leader dell’istituzione presieduta da Charles Michel i più influenti hanno un colore politico opposto rispetto a quello di Fratelli d’Italia. Olaf Scholz, cancelliere della Germania, e Pedro Sanchez, presidente del governo spagnolo, sono socialdemocratici, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, invece, è liberale (ed è molto più vicino a Matteo Renzi e Carlo Calenda del terzo polo). Gli unici a essere vicini a Meloni sono Fiala e Mateusz Morawiecki, il premier polacco, che però non hanno la stessa importanza rispetto agli altri capi di Stato e di governo.
Per cui, sì, il cammino si potrebbe fare leggermente più in salita e c’è chi crede che, tutto sommato, la futuribile prima presidentessa del Consiglio donna della storia d’Italia possa riuscire a superare questi ostacoli e chi no.
Secondo una fonte diplomatica della Stampa, Meloni potrebbe lavorare per costruire una relazione con Macron vista la comunione d’interessi tra il nostro Paese e la Francia, ma, soprattutto, avere il sostegno del presidente francese potrebbe essere fondamentale “per superare le resistenze di Germania e Paesi Bassi“. Da sola, ha detto ancora la fonte, la partita difficilmente potrà vincerla.
Un’altra fonte, questa vicina al Partito Popolare Europeo, crede che Meloni debba fare delle scelte, “ma non siamo preoccupati: di fronte alla grave situazione che si troverà di fronte saprà moderarsi“, ha spiegato. D’altronde ha dato prova di saperlo fare.
Non secondo Repubblica, però. Alcune frasi utilizzate durante la campagna elettorale, infatti, hanno fatto drizzare le antenne non solo ai diplomatici italiani, ma anche alle stesse istituzioni europee che vedono nella leader di FdI un pericolo. Ufficialmente, però, come ha dichiarato Johannes Hahn, commissario al Bilancio, austriaco e del PPE: “Ci aspettiamo una cooperazione attiva e costruttiva” dal nuovo governo italiano. La strada tracciata, insomma, può essere quella giusta. È probabile che dal 26 settembre serva un pizzico di diplomazia in più, ma uno staccamento dall’Unione europea oltre a non essere auspicabile, diventa ora ancora meno pronosticabile.