Il tweet entusiasta ai primi exit poll, poi (quasi) il silenzio: il grande sconfitto, nel centrodestra trionfante e prossimo a governare, è sicuramente Matteo Salvini. Il leader della Lega ora deve proteggersi dal fuoco amico, quello dei suoi compagni di partito e quello dei suoi alleati nella coalizione.
Insomma, non è in una posizione facile, anzi. E forse non basterà fare le disamine del caso, cercare di capire com’è che il Carroccio abbia perso tutti quei voti in favore di Fratelli d’Italia nelle regioni considerate le roccaforti del partito. Non basterà neanche la determinazione dell’aspirante ministro degli Interni, probabilmente. E no, non potrà salvare né capra, né cavoli.
Salvini a rischio, Maroni: “È ora di un nuovo segretario”
Un’analisi della non vittoria, perché di sconfitta vera e propria non si può parlare, la devono fare anche dalla Lega, e la faranno. Per i numeri, meglio le percentuali a cui si è arrivati alle elezioni di domenica, molto al di sotto delle aspettative, per i consensi dilapidati nel giro di tre anni, e soprattutto perché, nelle regioni fortino, Fratelli d’Italia ha doppiato il Carroccio.
Un Congresso potrebbe essere l’occasione per mettere gli errori tutti in fila, cercare di capire le cause che hanno portato a un risultato “assolutamente deludente“, come ha detto il governatore del Veneto, Luca Zaia, solo ieri. Non per Matteo Salvini, però, che il Congresso lo vorrebbe fare più in là. Al momento, il Consiglio federale è la soluzione migliore. “Ascolteremo tutti – ha detto il Capitano -. Farò un giro provincia per provincia di tutta la Lega“.
Troppe persone, però, vogliono la sua testa. Il primo a uscire allo scoperto è Gianantonio Da Re, eurodeputato del Carroccio ed esponente politico di Cappella Maggiore, in provincia di Treviso. In un’intervista all’AdnKronos, lui ha detto senza troppi giri di parole che a Salvini, a cui va dato merito di aver corso in lungo e in largo, “è attribuibile il risultato disastroso“, ma anche al suo entourage, “al cerchio magico di cui si è circondato, perché se ci fosse stata una segretaria politica vera, non saremmo arrivati a questo punto“.
E di nuovo il Congresso: “Siamo in tanti, e stiamo raccogliendo le firme“, ha spiegato. Probabilmente ci sarà anche quella di Roberto Maroni, non l’ultimo arrivato. Nella sua rubrica per il Foglio, l’ex segretario e ministro degli Interni, ha scritto che un Congresso ci vuole: “Io saprei chi eleggere come nuovo segretario. Ma per adesso, non faccio nomi. Stay tuned“.
Intanto Salvini resta in sella: “Il mio incarico è in mano ai militanti, non a due o tre dirigenti di partito. Chi è militante della Lega da trent’anni, è stato abituato da Umberto Bossi – ed è sano – a ragionare nelle sedi opportune, non al vento“. E poi ringrazia, su Facebook, chi ha votato la Lega. Un paradosso, quasi.
Meloni frena la corsa di Salvini al Viminale. “Matteo non avrà Ministeri chiave”
Se le cose dentro l’orticello di casa Salvini non vanno bene, peggio vanno quando si siede al tavolo delle trattative per spartirsi i ruoli chiave. Ecco, quelle percentuali, che pure si sono tradotte negli stessi seggi del Partito democratico (quasi), peseranno come un macigno nella formazione di un governo.
Giorgia Meloni, che riceverà certamente per prima l’incarico dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di mettere in piedi l’esecutivo, ha il coltello dalla parte del manico. E sa cosa non vuole: che il Capitano torni al Viminale. Sia perché al Ministero degli Interni ci vuole piazzare uno dei suoi (in lizza ci sono Matteo Piantedosi, ex capo gabinetto di Salvini, ma soprattutto Giuseppe Pecoraro), sia perché il primo a storcere il naso sarebbe proprio il Capo dello Stato.
Il leader della Lega, come ha ricordato anche lui in campagna elettorale, è imputato nel processo per Open Arms, e Mattarella potrebbe mettere un veto su di lui come fece per Paolo Savona nell’esecutivo gialloverde.
Non solo, però. Una delle ragioni la si può leggere anche tra le parole che lo stesso Salvini ha pronunciato durante il suo discorso post elezioni: “Sono assolutamente convinto che la Lega abbia ampi margini di recupero, perché quando governa e può portare avanti le sue battaglie e non quelle degli altri, non ce n’è per nessuno“. Metterlo dentro, in pratica, potrebbe anche voler dire dilapidare, a sua volta, il largo consenso ottenuto.
E ne sanno qualcosa pure dal MoVimento 5 stelle. Finché era ministro degli Interni, il Capitano è cresciuto nei sondaggi e ha fatto la voce grossa, cercando di imporre la sua agenda su quella degli altri. C’è riuscito e poi ha deciso di mandare tutto all’aria, e quella è un’altra storia, che Meloni non vuole si ripeta.
Un altro veto, infatti, è quello per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che, in forza di un risultato migliorare, la futura prima donna premier della storia d’Italia vuole lasciare da sola, o comunque tra i suoi fedelissimi.
In estrema sintesi, la posizione della numero uno di Fratelli d’Italia si può tradurre in prendere o lasciare. E Silvio Berlusconi, l’altro leader della coalizione, potrebbe aiutare a convincere l’alleato più reticente a non puntare troppo i piedi. D’altronde il Cavaliere si accontenta di molto meno, la Farnesina o la presidenza del Senato (per Antonio Tajani) potrebbero essere una merce di scambio perfetta per le trattative.
Ciò che emerge chiaro, ancora, è un Salvini messo all’angolo. E colpito dal fuoco amico. Come ne uscirà? E se fosse la stessa base del partito a rimuoverlo dal suo incarico? Una nuova partita sta per cominciare, e sì, ne vedremo delle belle. A pesare, poi, ci potrebbe essere anche la non rielezione per la prima volta di Umberto Bossi, il presidente onorario della Lega, in Parlamento.