Come renderle appetibili le città? Come far ritornare indietro chi le ha lasciate? Ma soprattutto come evitare che anche gli abitanti attuali cedano alla vivibilità delle periferie?
Dopo quasi un anno di pandemia le capitali e altri importanti centri urbani hanno perso molti dei loro cittadini. Così politici e burocrati di tutto il mondo sono impegnati a rispondere a quesiti fondamentali per il futuro delle aree metropolitane, estremamente seducenti, ma tanto tempo fa.
Le città abbandonante
La pandemia non è la causa, ma ha accelerato un processo che era già in atto. Prima procedeva con passo deciso ma cadenzato, adesso, invece, a velocità supersonica.
Si tratta dello svuotamento dei grandi centri abitati in favore delle periferie, più spaziose, silenziose, verdi, sane, abbordabili nei prezzi, in definitiva vivibili.
Il lavoro da casa, la didattica a distanza, la socialità interdetta hanno portato verso posti storicamente decentrati.
La dinamicità della vita cittadina tra lavoro in compagnia dei colleghi, cene fuori, concerti, teatri, incontri culturali e goliardici ha lasciato il posto a una vita più distesa, tra impegni davanti il computer e immersioni in paesaggi bucolici.
Se Londra vive uno spopolamento dopo più 30 anni, l’ultima volta era stato nel 1988, per Tokyo l’inflessione della popolazione è una novità senza precedenti, iniziata con l’avvento del covid19.
Una prima volta anche per New York e San Francisco che, meno fascinose e sfavillanti di sempre e dopo un decennio di affitti a prezzi esorbitanti, adesso hanno ridimensionato l’offerta. A spiegarlo al Washington Post è James Chung della Reach Advisors, società di consulenza nel settore immobiliare.
La città ideale è a passo d’uomo
Il New York Times ha approfondito la questione, mettendo a confronto 5 città del vecchio continente: Berlino, Dublino Londra, Parigi e anche Milano.
“Cosa può far ritornare le persone?” titola Megan Specie nell’articolo.
Alla ricerca di risposte possibili la penna del giornale statunitense ha intervistato Malcom Smith di Arup, lo studio britannico che opera in 4 dei 5 continenti e offre servizi inerenti l’urbanistica, dall’ingegneria al design.
Secondo l’urbanista la crisi sanitaria ha messo in luce la necessità di plasmare la città in più centri costituiti da piccole unità; ognuna contiene al suo interno tutti i servizi più importanti. Si avrebbero così zone franche dal traffico e un po’ più libere dallo smog.
Tant’è che il modello, tanto agognato, di una città a misura (o a passo) d’uomo viene chiamato 15-minutes-walk-city.
Un nome esplicativo, giacché, in ogni piccola area della città ideale, gli spazi comuni dovrebbero essere raggiungibili a piedi in un tempo massimo di 15 minuti.
Di necessità virtù
Nella sua disanima Maran indica proprio in Milano la prima metropoli a reagire, a ripensare se stessa, a partire dai suoi spazi, quelli pubblici. L’estate pandemica ha visto il proliferare delle piste ciclabili e la decisione di concedere a bar e ristoranti gli spazi all’aperto è stata immediata.
Anche Parigi si è rimboccata le maniche. Lo racconta la sindaca Anne Hidalgo alla testata statunitense: la pandemia ha affrancato la capitale dalla sua usuale e famosa congestione, lasciando più spazio a beneficio dei cittadini.
Un esempio è Rue de Rivoli, una delle strade principali, che abbondava di corsie, alcune non erano più necessarie. Così quelle in eccesso sono state trasformate in una lunga pista ciclabile.
Anche molti parcheggi rimasti liberi sono stati convertiti perché i ristoratori vi disponessero tavoli, sedie, divanetti e piante.
Le conseguenze
Molte abitudini apportate dallo sconvolgimento pandemico resteranno anche a fine emergenza, seppur con alcun modiche.
È il caso dello smart working, che perdurerà per molto seppur in formula parziale.
Il ritorno intermittente in ufficio però per alcuni non corrisponderà a un ritorno città. Infatti, secondo il The Atlantic, aumenteranno i cosiddetti super-pendolari, coloro che hanno un alto reddito ma si sposteranno per lunghe tranne con meno frequenza.
La mutazione della società permetterà una competizione, impensata solo un anno fa, delle aziende più piccole con quelle più grandi e prosperose. Nella nuova situazione infatti le imprese sono più snelle nei costi fissi e possono permettersi l’assunzione di personale altamente qualificato.
Infine molti borghi di tutta Italia hanno conosciuto una notorietà insperata, come è capitato a quelli remoti del Molise. Il New York Times fu veggente quando lo indicò, poco prima dello scoppio della pandemia, tra i posti da visitare nel 2020.
Gli Italiani infatti, privati delle mete vacanziere oltre confine, hanno iniziato la scoperta delle meraviglie nascoste del Paese.
In definitiva gli esperti parlano di un riequilibrio, una ridistribuzione della popolazione, una sintonia ritrovata rispetto le esigenze umane, sia fuori che dentro le città.