I cambiamenti climatici sono in grado di trasformare le montagne, causando crolli negli ultimi 15 anni. Ecco cos’è accaduto sul Monviso.
I cambiamenti climatici stanno agendo sulle montagne, causando crolli negli ultimi 15 anni in Piemonte. Il 26 dicembre 2019 sul Monviso un settore della parete nordest ha avuto un grande crollo. L’8 gennaio 2020 è stato effettuato un sopraluogo dai tecnici dell’Arpa Piemonte. Si sono occupati di fare fotografie, hanno circoscritto la zona del crollo.
Le spiegazioni del geologo
Il geologo dell’Arpa Piemonte Luca Paro, stanno studiando questo fenomeno per capire quanto sia collegato a i cambiamenti climatici:
“Il 6 luglio 1989 una massa di ghiacciaio di circa 200.000 m³ si staccò da una nicchia posta a quota 3200 m, scese lungo il canalone Coolidge e, dopo aver percorso un dislivello di 900 m, impattò sul ghiacciaio posto alla base del medesimo. L’impatto fu tale che l’onda sismica venne registrata a 20 km di distanza. Il distacco fu una conseguenza del riscaldamento globale: l’innalzamento dello zero termico e piogge intense e prolungate in alta quota causarono un accumulo d’acqua in un crepaccio a monte del ghiacciaio e un’infiltrazione alla sua base. La pressione dell’acqua nella parte alta e lo scivolamento favorito dall’infiltrazione fecero sì che il ghiacciaio scivolasse a valle”.
I cambiamenti climatici e la loro azione sulle montagne
Per capire cosa si è realmente verificato, si stanno studiando i precedenti crolli a partire dal dicembre 2006. Nel 2016 è stata installata sul Rocciamelone una colonna multi-parametrica che è una sonda che è in grado di valutare la deformazione e le temperature delle rocce arrivando ad una profondità di 30 metri. Questi dati daranno maggiori elementi per poter capire come i cambiamenti climatici incidano sulla struttura delle nostre montagne.
Monitorare il permafrost ha trovato una possibile correlazione tra l’incremento delle temperature nel sottosuolo ed i crolli. I geologi ancora non traggono conclusioni, hanno deciso di studiare anche serie storiche di dati, che comunque sono troppo brevi. Confronteranno anche i dati delle altre stazioni alpine storiche in Svizzera, dove il permafrost è in fase di degradazione anche a 3000 metri di quota. Si stanno anche verificando lo stato di fratturazione, lo stato delle condizioni di stabilità degli ammassi rocciosi che hanno avuto crolli.