Carmen La Rocca è la responsabile del centro anti-violenza PerleDonne di Imola. Ha raccontato, in esclusiva per LettoQuotidiano.it, il suo percorso al fianco delle donne, cha va avanti ormai da 20 anni.
In un momento così delicato come quello che il nostro Paese sta attraversando, la violenza di genere resta un punto focale da cui non si può e non si deve mai distogliere l’attenzione.
Qual è la difficoltà che emerge più frequentemente dal primo colloquio che le donne hanno con l’operatrice di un centro anti-violenza?
Con il passare del tempo, l’atteggiamento delle donne sta cambiando. Quando ho cominciato, prima di riuscire a parlare della violenza che stavano subendo, c’era di mezzo la richiesta di un lavoro, di un contributo per pagare l’asilo ai figli prima di arrivare a svelare il reale motivo per il quale arrivavano nel centro antiviolenza.
Adesso le cose sono cambiate, perché è cambiata la comunicazione rispetto a questo tema, anche se, alcune volte se ne parla in maniera sbagliata. Le donne che oggi arrivano da noi lo fanno dichiarando già di subire violenza, alcune volte anche con una denuncia già in corso. Poi magari vogliono capire se si tratti realmente di violenza, vogliono capire se siano sbagliate loro o se stiano sbagliando i loro partner.
Una delle cose più frequenti che dicono le donne quando arrivano in un centro antiviolenza è “Io non sono venuta qua per vendicarmi di lui, sono qui per capire se c’è qualcosa che posso fare per aiutarlo a cambiare.”
Lo stereotipo della donna che denuncia per vendetta è appunto uno stereotipo. Le donne tentano di tutto prima di decidere di sporgere denuncia, magari all’inizio non comprendono i primi segnali di violenza o li giustificano.
Entrano quindi in un vortice vizioso, restando imbrigliate. La violenza psicologica è la violenza più diffusa in assoluto e non ci sono le altre forme di violenza se non c’è alla base quella psicologica. Tutte le forme di violenza si basano sulla violenza psicologica, che ha la forza di far perdere l’identità alla donna, farle perdere quello che realmente è. Quello che cerchiamo noi è di far capire alle donne che loro non possono fare nulla per cambiare il loro partner.
Perché, secondo lei, si parla del problema della violenza sulle donne in maniera sbagliata?
Perché spesso c’è una colpevolizzazione della vittima, un’attribuzione della colpa alla donna, anche nelle trasmissioni televisive che raccontano la parte più perversa e si attaccano alla morbosità di quanto subito dalle donne, ma la questione è molto più complessa.
Inoltre, se ne parla sempre come fenomeno, ma questa parola è sbagliata, perché questo non è un fenomeno, ma è una realtà che riguarda la cultura. Noi donne veniamo da una storia millenaria che ha viste sempre in secondo piano, come strumento sessuale, o come strumento di lavoro o ancora come uno strumento per proseguire la specie.
Non è corretto quello che ha fatto la legislatura dal 2014 ad oggi, che ha costruito delle leggi chiamate piani emergenziali. La parola emergenza, a mio parere, non è corretta perché la violenza è strutturale, fa parte della struttura sociale. Quella della violenza sulle donne non è un’emergenza perché c’è sempre stata, dalla caccia alle streghe ad oggi.
L’istituzione del Codice Rosso ha portato qualche cambiamento?
Sicuramente ha portato un miglioramento nella misura in cui, quando una donna va a denunciare la violenza, deve essere ascoltata subito, nel giro di 3 giorni.
Alcune volte, però, questa celerità trova le donne impreparate ad affrontare nell’immediato un percorso giudiziario.
La legge del Codice Rosso prevede anche che sia l’uomo maltrattante ad abbandonare la casa.
Le donne che scappano per fuggire dalla violenza e vanno nelle case rifugio subiscono un’ulteriore ingiustizia, perché non solo hanno subito violenza, ma sono costrette a scappare.
Il fatto che siano gli uomini maltrattanti a dover uscire di casa diventa però un problema, perché le nostre società ancora non hanno dei servizi che si occupino di questi uomini. Una volta che escono di casa poi dove vanno? Restano in balia di se stessi, diventando ulteriormente violenti, fanno stalking, utilizzano i figli, lasciano il lavoro per non pagare il mantenimento. Il sistema è giusto, ma deve in qualche modo organizzare meglio per evitare che ci siano queste ricadute.
Stanno nascendo dei centri di questo tipo, però sono centri in cui gli uomini maltrattanti vanno perché, come prevede il codice Rosso, usufruiscono di sconti della pena. Gli uomini hanno certamente diritto di fare quei percorsi per migliorarsi, per prendere consapevolezza di quanto hanno fatto e del male che hanno causato, ma riteniamo anche che la pena per chi commette questo tipo di reati non possa subire sconti.
Avete notato un’escalation di violenza durante il periodo del lockdown?
Nel mese di marzo i telefoni del centro non hanno mai squillato, l’ultima chiamata è arrivata poco prima che iniziasse il lockdown. Il 31 marzo hanno chiamato in tre, poi piano piano c’è stato un incremento di richieste tanto che al 31 ottobre abbiamo accolto nel nostro centro 71 donne, mentre mediamente negli anni ne abbiamo accolte 55/60 all’anno.
Non so però se esista un legame preciso con il covid, che ha certamente peggiorato la situazione delle donne vittima di violenza, che sono dovute restare in casa con il maltrattante. I numeri dicono comunque che c’è stato un aumento.
La donna che si rivolge ad un centro anti-violenza qual è il primo supporto che trova realmente?
La donna che si rivolge alla nostra struttura trova operatrici competenti. La prima cosa che una buona operatrice fa è la sospensione del giudizio: le donne si sentono accolte e non giudicate e si crea una relazione tra donne alla pari, cosa che non succede in nessun altro servizio.
Le operatrici fanno da specchio alla donna e nessuna di noi prende decisioni al posto della donna, che diventa regista e protagonista della sua storia.
Poi piano piano offriamo quello che serve, che non è un percorso uguale per tutte le donne.
Ci parla dell’evento che si terrà il 30 novembre
Nell’ambito delle iniziative dedicate alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le Donne, la nostra legale ha organizzato questo evento online in cui saranno presenti Valeria Valente, avvocato, senatrice, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere; Marco Imperato, Procuratore presso la Procura del Tribunale di Bologna; Carmen la Rocca, Responsabile del Centro Antiviolenza PerLeDonne; Umberto Coli Associazione Senza Violenza di Bologna e un rappresentante del Collettivo maschile Oltreadamo di Imola.
Lunedì 30 novembre, alle ore 18.00, l’Associazione e Centro Antiviolenza PerLeDonne si fa promotrice del dibattito/incontro “VOCI A TUTELA DELLE DONNE: DAI CENTRI ANTIVIOLENZA AL CODICE ROSSO – PARADIGMI DI UN PERCORSO”.
Carmen La Rocca interverrà per parlare delle tecniche di prevenzione del rischio. Esistono infatti degli screening in grado di rilevare il livello di rischio e di recidiva, che hanno una percentuale di precisione molto alta. Il centro di Imola utilizza perlopiù il metodo “Sara”.
Tramite questi screening, è possibile valutare se e quanto un uomo che ha usato violenza contro la propria partner o ex partner sia a rischio di usare nuovamente, nel breve e bel lungo termine, violenza contro la propria donna.
L’auspicio è che questa tecnica di prevenzione del rischio possa essere utilizzata anche dalle forze dell’ordine, nei tribunali e da tutti quelli che si occupano di violenza di genere.
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