Il 6 febbraio tutto il mondo è chiamato a non distogliere lo sguardo da una pratica antichissima e ancora diffusa: la mutilazione dei genitali femminili o MGF.
Perché l’MGF ancora esiste? La regista Adele Tulli e la disegnatrice Peque Varela lo raccontano in un video animato.
Le purezza delle donne mutile
Indonesia, Iraq, Etiopia ed Egitto. Sono solo alcuni dei 31 Paesi dove le bambine sono sottoposte al rito che sancisce la loro appartenenza alla comunità: un pezzo del proprio corpo (e del proprio essere) in cambio dell’accoglienza.
Basta una pietra appuntita, una lama o un vetro rotto per la rimozione, totale o parziale, dei genitali femminili. In 3 casi su 4 a operare è l’improvvisata quanto apprezzata ostetrica del villaggio. Con la stessa frequenza, il 75%, è bandita l’anestesia.
L’operazione è riservata perlopiù alle bambine e praticata sui corpi delle ragazzine fino ai 15 anni (ma ogni cultura ha le proprie regole e tecniche di rimozione).
L’intervento non è dettato da motivi medici, bensì culturali. È un passaggio rituale nella società. I motivi si perdono nella notte dei tempi, tant’è che la pratica risale agli Egizi.
Così le madri impongono l’orrore del rito, che loro ben conoscono, alle figlie, a fin di bene, per evitare loro l’emarginazione.
L’inclusione femminile passa per un’atavica idea di bellezza e purezza, nonché di possesso maschile: in definitiva una ragazza infibulata o mutilata negli organi di riproduzione prova dolore nell’avere rapporti sessuali; la sofferenza a vita che la pratica comporta rende la donna fedele al suo uomo, l’unico tra le due parti che ha diritto al piacere.
Inoltre una giovane così mutilata è molto più remunerativa sul mercato della vendita delle mogli.
Vi sono poi intuibili risvolti psicologici e fisici, tra cui le emorragie copiose, complicanze durante i parti, infezioni, sofferenza continua.
Oggi esistono sulla terra 200 milioni di donne che hanno subito le dolorosissime pratiche rituali.
Si calcolava che entro il 2030 sarebbero state 68 milioni, in caso nulla di concreto venga fatto al riguardo.
Andare alle radici, per sradicarle
Ogni società plasma gli appartenenti ai suoi ideali e, d’altro canto, gli uomini aspirano ad essere accettati, così si conformano alle regole di una data società, non sempre giuste.
La consapevolezza del meccanismo che sottende il nostro vivere comunitario può cambiare situazioni dolorose.
Ne è sicura Adele Tulli, che attraverso le figure animate e colorate di Peque Varela, racconta con semplicità i meccanismi che sorreggono da millenni il rito spaventoso.
Infatti l’Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS), che lavora per i diritti umani dal 1981, ha deciso di pubblicare, alla vigilia della giornata mondiale contro l’MGF, il primo dei 4 video di Tulli. Il proposito è “ispirare il cambiamento”.
Più duro il video, Uncut, tra i vincitori nel 2017 del festival di Capodarco. Emanuela Zucculà e Simona Ghizzoni riportano le testimonianze sia delle donne africane che combattono contro la mutilazione sia di coloro che vi si arrendono.
Secondo i sondaggi, infatti, il 50% delle popolazioni che praticano il rito millenario, vorrebbero sradicarlo dalle loro usanze.