C’è stata una strage di attivisti e difensori dell’ambiente. Nel 2019 ci sono stati 212 omicidi secondo il rapporto di Global Witness “Con la pandemia accresciuti i rischi.”
Nel 2019 c’è stata una strage di attivisti e difensori dell’ambiente, arrivando a contare 212 omicidi. I dati li possiamo ritrovare nel rapporto di Global Witness. Nel 2020 la situazione non è migliorata, anzi grazie alla pandemia i rischi per queste persone sono aumentati.
Gli attentati agli attivisti
Francia Márquez nota attivista che ha vinto nel 2018 il Premio Goldman, l’equivalente ecologista del Nobel, è sfuggita ad un attentato che si è trasformato in una pioggia di fuoco. Il commando aveva pianificato l’attacco del 4 maggio 2019 in una “forma più pulita”, ma la cosa è sfuggita di mano. L’attivista si oppone alle miniere nel Cauca in Colombia e solitamente chi in passato ha fatto questo, è morto. Francia si è salvata per caso, buttandosi a terra perché ha sentito un rumore che l’ha avvisata del pericolo.
Francia Márquez ha 49 anni, è di colore e oltre a lottare per la conservazione dell’ambiente, si batte in maniera non violenta, per i diritti dei colombiani neri. Una donna particolarmente scomoda che si è salvata per pura fortuna e non fa parte dei 64, sui connazionali morti nel 2019.
Il rapporto Global Witness
Come detto nel 2019 sono stati uccisi 212 attivisti o difensori dell’ambiente, una strage di coloro che stanno cercando di preservare il nostro pianeta. Global Witness è un’organizzazione tra le più rigorose e si occupa tra le varie cose del censimento di questi attivisti uccisi.
Il rapporto che è stato diffuso ci mostra una strage senza precedenti nel 2019, con 4 attivisti uccisi ogni settimana, uno ogni giorno e mezzo. Ben Leather, di Global Witness parla di quanto sta accadendo nel 2020 anche grazie alle politiche di lockdown:
“La tendenza si mantiene in questa prima parte del 2020, anzi per certi aspetti la pandemia ha peggiorato la situazione […] le politiche restrittive messe in atto per contenere il virus, a volte, sono state impiegate per incrementare il controllo e la persecuzione degli attivisti ambientali.”
I dati sulla strage di attivisti
Quasi tutti gli ambientalisti uccisi nel 2019, hanno perso la vita nel cosiddetto Sud del mondo: al primo posto abbiamo l’America Latina, seguita da Asia e Africa. I dati di questo continente risultano incompleti, per cui non siamo certi della totalità delle morti. Il motivo per cui gli attivisti vengono maggiormente uccisi è la loro opposizione all’estrazione mineraria senza controllo e regole. Dei 212 uccisi, possiamo suddividerli in base alla motivazione:
- 50 anti-miniere
- 30% degli attacchi ai nativi, che sono solo il 5% della popolazione totale
- 19 guardie ambientali, di cui 8 solo nelle Filippine
- 66% del totale degli omicidi è avvenuto in America Latina
Le “frontiere calde” dell’estrattivismo
Con la parola estrattivismo s’intende quel sistema economico che si basa sull’estrazione ad alto impatto ambientale, a bassissimo costo di risorse col solo scopo di esportarle. Non si punta ad arricchire il luogo dove si estrae, si è vittima della fluttuazione dei mercati finanziari delle risorse prime, i soli a guadagnarne sono le aziende estrattive che sono solitamente transnazionali e più raramente nazionali. Sfruttano spesso la corruzione o la fragilità del sistema del paese in cui effettuano le loro attività.
Quindi opporsi a questo metodo, significa opporsi a colossi che hanno interessi economici di miliardi, mentre chi lotta sono i piccoli coltivatori o indigeni di zone remote, nel 40% dei casi registrati. In Amazzonia per esempio sono stati uccisi 33 nativi, che si battevano per la conservazione della foresta. Oltre la metà delle uccisioni di ambientalisti si concentra in sole due nazioni cioè Colombia e Filippine.
Fillippine e Colombia, i peggiori stati per gli ambientalisti
In Colombia questi morti sono anche frutto della lotta per il controllo dei territori abbandonati dalle Farc dopo la firma del trattato di pace col Governo nel 2016. Di questo vuoto di potere, stanno approfittando dei gruppi armati di criminali o i vecchi paramilitari di estrema destra che non hanno mai accettato questo trattato. La lotta in questo caso è anche per il controllo della coltivazione della coca, che col debito trattamento chimico, arriva ad essere cocaina. 14 ecologisti uccisi, lottavano contro questo commercio illegale, che inquina moltissimo.
Nelle Filippine si contano 43 ambientalisti uccisi, nonostante il paese sia uno dei più sensibili al cambiamento climatico. Uno di loro è stato Datu Kaylo Bontolan, leader del popolo Talaingod-Manobo, accusato di essere un sovversivo dopo la su morte avvenuta il 7 aprile 2019. L’esercito ed il governo paiono essere vicini agli interessi delle imprese estrattive. Il presidente con la scusa della lotta al terrorismo, usa una politica molto dura e gli attacchi contro gli attivisti sono aumentati dall’elezione di Rodrigo Duterte nel 2016.
Questa situazione non deve far sentire il Nord del mondo esente da violenza, basta ricordare l’assassinio di guardie forestali in Romania, che volevano tutelare i boschi primari del paese, che occupano la metà del totale si quelli distribuiti nel continente europeo.